Le Interviste del Direttore: speciale 25 novembre
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Le Interviste del Direttore: speciale 25 novembre

Il 25 novembre ricorre la giornata internazionale per la lotta contro la violenza sulle donne. In questo contesto, come direttore di testata e redazione, vogliamo far sentire la nostra voce nel rispetto del dolore di chi ha subito e/o continua a subire e di chi - dall’altra parte - forse non ha un quadro chiaro di come sia il contesto e di quanto esperienze di donne di estrazione e background diversi, adeguatamente divulgate, possa supportare la creazione di una consapevolezza, specie nelle generazioni più giovani.

Non vogliamo rifarci a fatti di attualità ma cercare di guardare al problema nella sua complessità, con L’obiettivo di essere di supporto e dare voce a chi può esprimere messaggi positivi in merito.

Ringrazio pertanto tutte le donne che hanno accettato il mio invito ad aderire a questo speciale, nello specifico:
Annabella Campiotti Medico; Marianna Chillau Imprenditrice e Presidente 4eCom; Margherita Di Vilio Amministratore Unico Open Factory Edizioni; Stefania Fazzi Presidente e General Manager Endes; Elena Lucchini Assessore alla Famiglia, Solidarietà Sociale, Disabilità e Pari opportunità della Regione Lombardia; Maria Medori Manager Communication e Diversity, Equity & Inclusion; Martina Rogato Founder ESG Boutique; Carola Salvato CEO Havas Health & You Italia e Presidente GWPR; Viviana Solari Relazioni Istituzionali; Zanette Simona CEO Hearst Digital SA.

A tutte loro il mio più sincero ringraziamento per averci messo la faccia insieme a noi!


La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne nasce da un costante prendere atto di come la donna venga considerata oggetto di potere, debole per puro genere d’appartenenza, sottomessa per cultura non evoluta. Credo fermamente che per poter dare reale contenuto ad un’iniziativa come questa l’azione più efficiente sia quella di dare voce e spazio a donne che – in misure diverse – hanno acquistato uno spazio, comunicano una sera autostima, sono forti nel loro essere prima e dopo i rispettivi biglietti da visita e incarichi annessi.
A titolo personale e come professionista, qual è il suo suggerimento al mondo femminile affinché si possa costruire una cultura basata sul reciproco rispetto dei ruoli e sull’affermazione dell’essere donna al pari degli altri generi d’appartenenza?

Annabella Campiotti: È sicuramente un problema di istruzione. La parità di genere non può essere relegata solo all’ambito familiare, ma all’ambito scolastico e soprattutto è un lavoro che va fatto sui bambini più che sulle bambine. È durante l’infanzia, l’adolescenza, che vanno insegnati i concetti di rispetto, di parità di genere ecc.

Marianna Chillau: Sono convinta che le sfide nel settore digitale richiedano un approccio di collaborazione tra generi. La chiave sta nell'ispirare sia uomini che donne, per vincere insieme. Essendo il digitale un campo dominato dagli uomini, ritengo cruciale incentivare l'educazione e la formazione delle donne nel settore della tecnologia. Questo non solo le rende più competitive, ma aiuta a demolire i pregiudizi che le ritraggono come meno abili. Un esempio in questo senso è la mentorship, come quella offerta da figure di spicco, io personalmente ho avuto la fortuna di essere affiancata da grandi professioniste, come Paola Bonomo, la sua competenza mi ha stimolato in senso positivo nel mio percorso, e la sua esperienza dimostra come le donne possano eccellere in settori a prevalenza maschile. Creare reti di sostegno e apprendimento reciproco è fondamentale per il progresso femminile. Inoltre, è vitale adottare politiche di uguaglianza di genere nelle organizzazioni, garantendo pari opportunità, retribuzioni eque e un ambiente di lavoro rispettoso. Infine, promuovere il dialogo e la collaborazione tra generi è essenziale per costruire una cultura inclusiva e basata sul rispetto reciproco.

Margherita Di Vilio: In Italia non credo sia opinabile l’affermazione che tutti cresciamo immersi nel pregiudizio sessista. Si tratta di un qualcosa che permea il nostro vissuto quotidiano, che pervade il linguaggio che usiamo. Un qualcosa di cui in quanto “femmine” iniziamo ad acquisire consapevolezza sin da bambine, una corrente contro la quale dobbiamo imparare a nuotare diventate adulte. Forte dell’insieme delle rappresentazioni che sono proprie ad ogni società, un’ineguaglianza è percepita come ovvia, naturale. Ma se “i progressi della ragione sono lenti, e le radici dei pregiudizi profonde”, come diceva Voltaire, è intuitivo che queste radici non possano semplicemente essere estirpate. L’unica via percorribile è quella di scoprirle, di renderle evidenti, di portarle alla luce. “Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora la più sovversiva”, diceva Murgia. Allora insistiamo nel farci chiamare per cognome, non “signora”, “signorina”, o “Giovanna”. Pretendiamo il rispetto che ci è dovuto in quanto esseri umani, non in quanto donne. Smettiamola di identificarci con le nostre mancanze, dimenticandoci delle nostre capacità. Rendiamoci conto che questo meccanismo che abbiamo introiettato è frutto di una precisa tecnica politica di esercizio del potere, finalizzato a tenerci chiuse in una gabbia (quando va bene) dorata.
Essere solidali, davvero, tra donne. Solo questo può consentire di superare insieme gli ostacoli sessisti che ci impediscono di essere riconosciute e valorizzate.

Stefania Fazzi: Penso che sia fondamentale credere in se stesse ed investire in formazione ed esperienze lavorative di valore fin da giovani, dimostrandosi sicure e decise nelle relazioni.  Far emergere competenze e professionalità, così come contestualmente valorizzare l’importanza dell’autonomia, anche economica e delle doti di attenzione e cura tipicamente femminili. L’essere donna è eventualmente un plus, fermo restando che l’impegno nel lavoro deve essere a parer mio significativo e rilevante tanto quanto che per un uomo pur consapevole delle maggiori difficoltà che noi abbiamo dovendo conciliare famiglia e lavoro. Però da qui per me si deve passare, chiedendo maggior supporto alle istituzioni, ma essendo libere di lavorare.

Elena Lucchini: La lotta alla violenza viene realizzata attraverso il potenziamento dei servizi di prevenzione, protezione e assistenza, con interventi finalizzati all’inserimento lavorativo e all’autonomia abitativa delle donne vittime di violenza.
Regione Lombardia promuove il valore di una ogni rete territoriale al servizio di tutte le donne, una rete di ascolto e sostegno, perché “NON SEI DA SOLA” significa aiutare le donne per aiutare l’intera comunità.
E significa proprio allearsi e mettere in comune competenze politiche, umane e professionali, perché ogni giorno vale come il 25 novembre.
In questa logica, per Regione Lombardia, la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne è un obiettivo strategico anche di questa nuova legislatura inserito nel Pilastro 2 “Lombardia al servizio dei cittadini”

Maria Medori: Il primo passo è quello di non ritenersi immuni ai bias di genere, a tutti quei piccoli pregiudizi che nel quotidiano potrebbero (inconsapevolmente) influenzare le nostre azioni e le nostre decisioni. Ritengo che, alla base di una reale e concreta parità di genere (e questo a prescindere dal genere nel quale ci si identifichi) vi sia lo spirito e il coraggio di mettersi in gioco, di sradicare frammento dopo frammento eventuali residui di un retaggio culturale che ormai non ci appartiene più.

Martina Rogato: Il mio suggerimento non vuole essere soltanto riferito alle donne o chi si identifica nel genere femminile, ma vorrebbe essere rivolto veramente a tutti e tutte. Dobbiamo lavorare ogni giorno in maniera consapevole per scardinare la violenza contro le donne, ma anche per incoraggiare una cultura del consenso e del rispetto. Il messaggio non può essere rivolto alle donne, perché parliamo di violenza maschile contro di loro. Quindi inevitabilmente gli attori in gioco sono differenti, altrimenti continuiamo a parlare tra noi senza arrivare ad una soluzione.
Di fatti ritengo che ci debba essere uno sforzo nell’educare le persene che ci stanno intorno. Le persone consapevoli del patriarcato e che hanno iniziato quindi a decostruire una società patriarcale hanno la responsabilità, donne e uomini, di agire ogni giorno per educare gli altri.
Se hai un amico particolarmente possessiva, l’importane è trovare una maniera per dirglielo o per suggerirgli di fare un percorso formale e informale fino alla psicoterapia. Abbiamo il dovere morale di non stare mai zitti. Fa parte della base della piramide delle violenze, magari non lo riconosciamo subito, ma il commento sessista dei luoghi di lavoro non deve avvenire. Incoraggio gli uomini a dissociarsene perché sono alla base dell’oggettificazione che può poi avere un’escalation violenta.
Non chiediamo alle donne di proteggersi.

Carola Salvato: Il mio punto di vista, frutto della personale esperienza di vita, parte da un'analisi più profonda del contesto culturale dal quale la violenza di genere prende forma e si alimenta. In quanto connessa alla dinamica sociale, questa problematica è di rilievo e di impatto per tutti noi, a prescindere dal genere. Certamente la nostra società nutre una di-visione tra maschi e femmine che vede obiettivamente gli uomini detenere una forma di potere decisionale sulla vita delle donne. Vorrei però sottolineare la complessità delle relazioni umane. Ne siamo realmente consapevoli? In una società dove gli individui vivono dei momenti di fragilità e sbandamento, offuscamento e dolore, abbiamo bisogno di ritrovare quei valori e principi guida positivi che ci ispirano. Sono necessari degli spazi di ascolto dove attori e attrici hanno infinite possibilità di realizzarsi, di sentirsi adeguati e trovare il loro posto nel mondo. Perché la cultura del rispetto si costruisce ben oltre le colpevolizzazioni: dobbiamo ricercare e trovare un punto di forte intesa e coesione affinché la mascolinità coesista con la femminilità, in un impegno comune che possa stimolare le future generazioni in maniera propositiva e collaborativa. No alle generalizzazioni e agli “assoluti” perché il nostro punto di osservazione è personale, è frutto di un’esperienza famigliare, genitoriale, relazionale e incide sulla visione d’insieme. Sì alle mediazioni che fanno luce sui valori fondanti, sì all’espressione e al rispetto della nostra “unicità”, non “diversità”.

Viviana Solari: Io credo, come donna impegnata nel mondo del lavoro, che per far sì che si consolidi una cultura veramente basata sul reciproco rispetto sia necessario che si consenta ad ognuna di noi di affermarsi valorizzando le proprie competenze e le idee senza alcun pregiudizio di genere. Il successo di una donna nel lavoro non è una minaccia, ma arricchisce l'intera comunità. Nel mio piccolo mi applico ogni giorno per sostenere le mie colleghe e fare squadra, incoraggiando sempre la creazione di un ambiente lavorativo davvero inclusivo, dove la diversità è apprezzata come punto di forza.

Simona Zanette: Pretendere rispetto verso noi stesse, da chiunque e sempre. Non pensare di essere inferiori. Costruirsi una posizione di solidità e di indipendenza sia economica che di pensiero. Chiedere aiuto senza avere paura di essere sbagliate, laddove ci si trovi di fronte a un’ingiustizia. Il silenzio e la paura ammazzano dentro. Il mio motto sa sempre è: nasciamo da soli, moriamo da soli e abbiamo la fortuna di vivere la nostra vita popolandola di persone che restano più o meno a lungo vicine a noi, ma la nostra solidità dobbiamo costruircela sin da piccole. Indipendenza e solidità rendono ‘libere’ anche di dire di no a cose che non riteniamo siano giuste per noi.


Autostima, consapevolezza, sano egoismo sono parole e concetti di uso comune, la mancanza dei quali porta la donna a considerarsi o ad essere reputata essere inferiore – peggio ancora non adeguato in certi contesti e non meritevole di ascolto in altrettanti. Non parliamo di sentimenti ma di semplice considerazione: quella che spetta ad ogni essere umano per il solo fatto di essere tale. In un mondo ideale dove stendere degli impegni è assumersi la responsabilità di portarli a termine quali ritiene siano i meccanismi – a livello di società e di impresa – volti a supportare la donna nel crearsi una posizione forte ove esistono degli aspetti collaterali che non glielo permettono?

Annabella Campiotti: È una questione che riguarda solo il maschile, peraltro le scienze più contemporanee come l’ambiente, l’ecologia, il futuro è soprattutto femminile. Se le donne avessero il potere probabilmente non avremo due guerre come quelle di adesso.

Marianna Chillau: In un mondo ideale, per supportare le donne nel crearsi una posizione forte, è essenziale che società e imprese collaborino per rimuovere le barriere. Innanzitutto, è fondamentale offrire supporto psicologico e risorse per lo sviluppo dell'autostima e della consapevolezza di sé. Ciò include programmi di coaching e workshop che incoraggiano l'affermazione personale.
Le politiche di pari opportunità sono cruciali, non solo per creare un ambiente di lavoro equo, ma anche come modello per la società. Inoltre, dovrebbero essere promosse flessibilità e opzioni di work-life balance, come il lavoro flessibile e il supporto per la cura dei figli, per aiutare le donne a gestire meglio responsabilità professionali e personali.
È anche importante sviluppare programmi di leadership femminile, fornendo formazione e opportunità di networking per aiutare le donne a raggiungere posizioni di comando. Parallelamente, la sensibilizzazione e l'educazione sui temi di genere sono necessarie per cambiare le percezioni sociali e promuovere la parità.
Assicurare una rappresentanza equa delle donne in tutti i livelli organizzativi e professionali è un altro passo cruciale. Infine, le imprese dovrebbero implementare sistemi di feedback e ascolto attivo, permettendo alle donne di condividere le loro esperienze e influenzare le politiche aziendali.
Questi meccanismi integrati nella struttura sociale e aziendale garantirebbero alle donne le risorse e il supporto necessari per affermarsi in ogni contesto, promuovendo una cultura di rispetto e uguaglianza.

Margherita Di Vilio: Il mondo del lavoro ci consente di essere indipendenti, di essere riconosciute e valorizzate come soggetti produttivi. Ma non “gratis”: il dazio da pagare è la paura di essere sbagliate, inadeguate, mai abbastanza. Dobbiamo assolvere i nostri doveri, rispettare tutte le regole, ma allo stesso tempo cercare di essere carine, dimesse, innocue. Mai sopra le righe, mai ambiziose. Questo ci porta ad essere perennemente all’inseguimento della perfezione, mentre ci sentiamo costantemente in colpa per quello che siamo riuscite a fare. L’idea che possiamo fare tutto ha un peso diverso, se si comprende che in realtà significa che dobbiamo fare tutto. In un mondo ideale, a livello sia di società che di impresa, il ruolo di accudimento, così come quello dell’educazione dei figli, ad esempio, non sarebbero considerati compito esclusivo delle donne: i carichi sarebbero ugualmente suddivisi sulle diverse spalle che li sopportano. Sarebbero condivisi con gli uomini, anch’essi figli e/o padri, e con la società, perché anch’essa ha un ruolo e delle responsabilità. In un mondo ideale, all’interno delle imprese, non esisterebbero differenze salariali basate sul genere, semplicemente perché non hanno senso di esistere: le differenze di genere non sarebbero differenze di potere.

Stefania Fazzi: Lavorare su decisione, autostima e consapevolezza senza chiedere troppi “sconti” quando i figli sono piccoli.  Con una buona capacità organizzativa e spirito d sacrificio, se si vuole si può lavorare bene seppur con intensità diversa a seconda dei cicli della vita personale. Continuare ad investire in aggiornamento, non smettendo mai di essere curiose e non mettendosi limiti. Confrontandosi e sostenendosi tra donne e affrontando i colleghi uomini con padronanza. Una squadra di donne che sa lavora bene non teme nessuno, uomini in primis. Non deve essere una questione di genere ma di competenza e capacità relazionali.

Elena Lucchini: La violenza contro le donne - vera e propria violazione dei diritti umani come definito dalla Convenzione di Istanbul del 2011 - richiede l’attivazione di soggetti con competenze multidisciplinari per migliorare la capacità di riconoscere il fenomeno in tutte le sue forme, promuovere la parità superando gli stereotipi culturali, costruire un sistema di competenze utili alla sua prevenzione e contrasto.

Maria Medori: Sia a livello di impresa che, in versione macro, a livello di società è essenziale creare un’infrastruttura di tutele, iniziative e progetti che vadano ad agire sulle fasce più sensibili di popolazione e, nel caso specifico, sul genere femminile. Un sistema così articolato e con una missione così complessa a livello sociale esige non solo una fase di implementazione efficiente ma anche un mantenimento meticoloso e un’integrazione regolare, coerente con l’evoluzione delle necessità di tutte le persone che compongono un’organizzazione/un Paese. Solo in questo modo, si può sperare di creare le migliori condizioni per consentire a ogni donna, ogni professionista di sviluppare appieno le proprie capacità e affermare la propria posizione.

Martina Rogato: Noi abbiamo in talune aziende le cosiddette quote di genere, una forzatura temporanea per cercare di colmare il divario. Non sono però sufficienti, non sono la soluzione a tutto perché bisogna anche lavorare sulla cultura aziendale. A prescindere dall’azienda, ritengo sia fondamentale che il datore o la datrice di lavoro investano in training per le risorse – soprattutto per le donne, per sviluppare le cosiddette soft skills. Ma anche confidenza di sé, capacità di negoziare.
Al di là di corsi e percorsi che si possono fare sulle donne, è anche fondamentale creare un clima che permetta il dialogo e la decostruzione sugli stereotipi di genere. Creare occasione di confronto formale e informale tra uomini, donne o qualsiasi cosa ci si senta. La cultura aziendale deve essere basata sul confronto a 360 gradi, perché permette di guardare la diversità di un’altra persona e di amalgamarsi a questi aspetti di diversità.
Da un punto di vista tecnico bisogna mettere a terra dei meccanismi di reclamo, un esempio è il whistleblowing. È un meccanismo di segnalazione, grazie al quale si possono comunicare delle situazioni, dalla mancanza di formazione alla violenza psicologica. Sono dei punti di contatto e di ascolto veramente strategici per le aziende. Soprattutto quelle che millantano di fare sostenibilità e diversity dovrebbero averli.
La cultura è fondamentale. Sono co-fondatrice di Young women network, che è stata creata undici anni fa ed è l’unica organizzazione che fa percorsi di soft skills sulle giovani donne. L’idea è che non possiamo aspettare che una donna arrivi a cinquant’anni prima di capire che ha bisogno di lavorare sulle soft skills. Prima si inizia a sviluppare questi percorsi di consapevolezza, meglio è.

Carola Salvato: Per supportare le donne, in ogni fase della loro vita, dovremmo ripartire da processi di consapevolezza, dal dialogo, da una sensibilizzazione all’uso delle parole. In questo senso, esorto ad un nuovo wording che possa sollevarci dal peso delle parole “negative” che ormai prendono il 2 sopravvento nel nostro quotidiano. Stiamo assistendo a una crisi degli ideali e delle prospettive future, è il tempo dell’incertezza e dell’instabilità economica, sociale, politica, della paura complessiva. È proprio in un simile contesto planetario che il lato peggiore di noi trova terreno fertile per esprimersi in fenomeni orribili e ingiustificabili perché mancano le fondamenta, quei principi di cui parlavo poco fa. Predominano sentimenti di rabbia, frustrazione, aggressività e il senso di invidia. In questo ecosistema fragile e complesso al tempo stesso, la presenza di Ambassador e facilitatori, l’alleanza, l’etica, la prossimità e l’unione, diventano dei must.

Viviana Solari: Sono stati compiuti molti progressi negli ultimi decenni in questo campo, ma ritengo non siano ancora sufficienti per superare tutto quegli ostacoli che limitano noi donne nella carriera. Solo attraverso un impegno collettivo, a livello di società e di impresa, si può arrivare a creare ambienti di lavoro davvero inclusivi e favorevoli all’affermazione professionale anche delle donne.
A livello di società credo che si dovrebbe investire di più in programmi educativi che promuovano maggiore sensibilità sul tema specifico promuovendo questa forma di inclusione sociale sin dai primi anni di formazione scolastica. Inoltre, si dovrebbe trovare il modo di sostenere con differenti approcci la partecipazione delle donne nei processi decisionali.
A livello aziendale dobbiamo far capire che è importante garantire l’equilibrio vita-lavoro con le giuste politiche permettendo a noi donne di gestire più serenamente le responsabilità familiari senza compromettere la carriera lavorativa. Inoltre, credo che sia fondamentale continuare a fare degli sforzi per garantire le condizioni di accesso paritario al lavoro e le medesime opportunità di formazione e di avanzamento tra i diversi generi.

Simona Zanette: Chiedere aiuto quando si è in difficoltà. Fuggire i bias mentali che la società ci propone. Credere in se stesse. Gruppi di ascolto, strutture dedicate alla guida alla crescita e alla formazione. Educazione e cultura. Questi a mio parere gli elementi fondamentali. Sarà un percorso facile? No ancora oggi nel 2023 non lo è. Ma dobbiamo farlo tutte insieme, unite, è necessario. Non vuol dire assolutamente prevaricare il genere maschile anzi sarebbe sbagliato. Non è una guerra contro l’altro, è un’affermazione del sé.


In un Paese, l’Italia dove normazione e regole sembrano essere elemento il cui rispetto garantisce la messa in sicurezza di un sistema – sul lato individuale il nostro Paese ha clamorosamente fallito: 105 femminicidi alla data di questa settimana sono una statistica oggettiva deludente e raccapricciante che poco fa sperare per il futuro. Governi, Enti, Istituzioni di riferimento: a chi vogliamo attribuire il posizionamento della prima pietra affinché si possa sperare di costruire un mondo migliore e che azioni chiediamo?

Annabella Campiotti: La prima pietra è l’educazione e la cultura. Se non insegniamo ai bambini la parità e il rispetto, ma soprattutto l’uguaglianza tra i sessi. Comunque, per quanto sia vero che ci sono 105 omicidi, non è sicuramente una situazione solamente italiana. Non dimentichiamo che probabilmente tra le prime 100 persone più potenti e influenti al mondo il 90% sono uomini. È chiaro che con queste percentuali il lavoro da fare è tanto.

Marianna Chillau: Prima di tutto, i governi hanno la responsabilità primaria di promulgare leggi più severe contro la violenza di genere e di assicurare che queste siano rigorosamente applicate. Questo include non solo pene severe per i reati, ma anche la creazione di un sistema legale più sensibile e reattivo alle esigenze delle vittime di violenza.
Le istituzioni educative hanno il compito di implementare programmi di educazione e sensibilizzazione che inizino fin dall'infanzia. Questi programmi dovrebbero concentrarsi sulla parità di genere, sul rispetto reciproco e sulla prevenzione della violenza. Educare le giovani generazioni è fondamentale per cambiare le mentalità e costruire una società più rispettosa e sicuraGli enti locali e le organizzazioni non governative dovrebbero collaborare per fornire reti di supporto efficaci per le vittime di violenza, inclusi rifugi sicuri, assistenza legale e supporto psicologico. È importante che le vittime si sentano supportate e protette dalla società.
Infine, i media hanno un ruolo cruciale nel plasmare l'opinione pubblica. Devono impegnarsi a rappresentare le questioni di genere in modo responsabile, evitando la normalizzazione della violenza e contribuendo invece a creare una cultura del rispetto e dell'uguaglianza.
La "prima pietra" in questo processo è il riconoscimento collettivo del problema e l'impegno congiunto di tutti gli attori sociali per costruire un futuro migliore. Questo richiede un cambiamento culturale, legale e educativo profondo, con azioni concrete e coordinate a tutti i livelli della società. Solo così si può sperare di costruire un mondo più sicuro e equo per tutti.

Margherita Di Vilio: Governi, enti e istituzioni di riferimento ci dimostrano purtroppo quotidianamente di adottare lo sguardo maschile, lo sguardo egemone, per rappresentare la descrizione della realtà, mostrandoci attraverso questa lente ciò che è considerato come “normale” e ciò che non lo è. Continuano a contribuire attivamente alla sua adozione da parte di tutti. Infatti, è anche il modo con cui le donne guardano sé stesse e guardano le altre donne.
Ecco allora che in questo contesto il Ministero della Pubblica Istruzione manda una circolare per invitare le scuole ad un minuto di silenzio per commemorare il femminicidio di Cecchettin, quando sappiamo che non è il silenzio lo strumento che dovrebbe venire utilizzato, soprattutto da parte di chi detiene un importante ruolo educativo. Un account social della Polizia di Stato posta una frase di circostanza, relativamente allo stesso caso di femminicidio, e viene sommersa da commenti di donne che proprio alla polizia hanno denunciato violenze o molestie e sono state derise, sminuite, non ascoltate. La Presidente del consiglio ci illumina con la metafora della pietra e dell’acqua, a mo’ di perifrasi della nota massima del Marchese del Grillo, invece di cogliere un’occasione per criticare quello che è stato un chiaro un esempio del diffuso atteggiamento maschile discriminatorio, offensivo, umiliante e non rispettoso nei confronti delle donne. Occasione mancata per mostrare, dall’alto del suo ruolo di potere, di essere solidale con le altre donne. Di avere la volontà di cambiare qualcosa. Peccato.
Il compito di posare la prima pietra credo che spetti a noi, tutti, tanti, più siamo meglio è: parlandone, riflettendo, ascoltando, cercando di vedere la realtà oltre gli schemi che ci sono imposti. Mettendo sempre al primo piano il rispetto, per sé e per il prossimo.

Stefania Fazzi: Penso sia necessario educare e sensibilizzare le coscienze al valore in primis del rispetto per l’altro. Non posso pensare ad un mondo in cui essere donne significa spesso avere paura. Tutti noi, la famiglia in primis, dobbiamo investire in educazione e poi dialogo, sostenuti dalla scuola e dalle istituzioni. Educare tutti insieme con massimo impegno, per me resta la chiave.

Elena Lucchini: La regione Lombardia si è dotata di una normativa attenta, abbiamo stanziato risorse, quasi 10 milioni, alle 27 reti interistituzionali e promosso campagne comunicative, sottoscritto un Protocollo con l’Ordine degli Avvocati per garantire il gratuito patrocinio e a livello operativo abbiamo sviluppato una rete dei centri antiviolenza per la presa in carico delle vittime e dei loro figli.
Dallo scorso luglio abbiamo avviato anche la sperimentazione volta all’individuazione di alloggi ALER per le donne vittime di violenza.
Tutto ciò deve però essere accompagnato dalla promozione di un paradigma di valori che sanzioni ogni violenza contro le donne in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo, di contrasto, sostegno e tutela delle donne vittime anche con una strategia di attenzione e di sensibilizzazione che favorisca il diffondersi presso le istituzioni di una cultura a sostegno dei diritti della persona e del rispetto della donna.

Maria Medori: Tutti noi abbiamo la responsabilità di posizionare questa prima pietra, che si concretizza nelle modalità più disparate. Che sia segnalare una situazione di disagio, dare supporto ad una collega in difficoltà, reclamare nuove tutele o che sia liberare amiche/madri/figlie da stereotipi opprimenti…
Ogni azione ha valore.

Martina Rogato: Tutti si devono attivare. Ovviamente il tema del cambiamento culturale è lento, per cui il Governo dovrebbe dare un’accelerazione. Dovrebbe lavorare a monte e a valle, sia in fase preventiva che in fase di supporto.
In fase preventiva bisogna partire assolutamente dalle scuole. Con l’educazione sessuo-affettiva, che includa temi quali il consenso. Non possiamo fare dei corsi del tipo We are the world, We are the people, bisogna insegnare ai ragazzi e alle ragazze fin da piccoli il consenso. Il No è No.
Se partiamo dalle scuole ovviamente non arriviamo alla soluzione, quante generazioni ci vorranno per cambiare la cultura? Mi aspetto quindi un grande impegno anche a riformare i media, che molto spesso contribuiscono a generare una cultura patriarcale. Mi aspetto un gender ad obbligatorio che faccia il check delle notizie, perché evidentemente il Manifesto di Venezia non è sufficiente.
Nel breve quindi un intervento dello Stato su scuola e media e poi più supporto ai centri antiviolenza.

Carola Salvato: Tutto è connesso. Dalla politica al mondo del lavoro, la tematica riguarda tutti i luoghi della società, pertanto, in un momento storico di grande sfiducia, è necessaria un’azione collettiva, un intento comune, una voce unica. Ognuno di noi, nel proprio piccolo e nel rispetto del proprio sentire, può compiere azioni straordinarie per un mondo più equo: è la loro somma a guidare e ispirare il cambiamento, al fianco di Istituzioni, Enti e Governi che devono agire per il benessere comune

Viviana Solari: La violenza sulle donne è un problema diffuso e profondamente radicato nella nostra società. Normare la violenza con leggi punitive non è sufficiente per affrontare il cuore del problema. È necessaria una vera e propria rivoluzione culturale che vada oltre le sanzioni legali, coinvolgendo ogni individuo e settore della società. Innanzitutto, il cambiamento culturale richiede il buon esempio. Figure di riferimento, leader e influencer devono impegnarsi a promuovere relazioni basate sul rispetto reciproco, sradicando stereotipi dannosi e diffondendo messaggi positivi. I toni pacati e costruttivi sui social media possono essere una piattaforma potente per sensibilizzare e ispirare al cambiamento.
È fondamentale coinvolgere tutti i settori della società, inclusi istituti educativi, organizzazioni e istituzioni governative. L'inclusione di programmi educativi che promuovano il rispetto di genere fin dai primi anni è cruciale.
La collaborazione è il cuore di una rivoluzione di cui tutti dobbiamo far parte.
Solo attraverso una rivoluzione culturale possiamo sperare di costruire un futuro in cui ogni donna possa vivere libera dalla paura e dal pericolo.

Simona Zanette: Penso che sicuramente governo, enti e istituzioni, come per esempio la scuola, possano fare la differenza, ma credo fermamente che debba essere ogni donna a costruire in modo migliore il suo percorso di vita e sappiamo tutti che un atteggiamento positivo e fermo solitamente genera un circolo virtuoso. Dobbiamo capire che le nostre madri e le nostre sorelle non hanno avuto questa impostazione, ma per chi di noi c’è riuscita, dobbiamo trasmettere questo pensiero quotidianamente con il nostro esempio alle nostre figlie e alle nostre nipoti. Chiedo inoltre un favore speciale ai mezzi di comunicazione: non spettacolarizziamo questi episodi e trattiamo con dignità i fatti di cronaca rimanendo fedeli alla realtà, evitando illazioni e dietrologie e facendo comunicazione positiva perché si possa evitare il prossimo femminicidio.


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Annabella Campiotti: Laureata in Medicina e Chirurgia nel 1984 presso l’Università degli Studi di Milano con 110 e lode. Nel 1987 si specializza in Clinica Odontostomatologica presso l’Università degli Studi di Milano con 70/70 e lode. Dal 1984 Medico al Policlinico di Milano nel reparto di Medicina Interna ed Immunologia. Autrice di pubblicazioni scientifiche e di testi su temi medico-scientifici. Dalla laurea ad oggi esercita la professione di Medico di Medicina Generale con particolare attenzione verso la Medicina Estetica e Antiaging.

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Marianna Chillau: Imprenditrice con un’esperienza di oltre 10 anni nel mondo eCommerce e del Digital Marketing. Dal 2016 è CEO & Co-Founder di Flyer Tech, azienda di soluzioni per eCommerce con cui lancia Transactionale, piattaforma di Cross-Advertising che aiuta più di 150 shop online ad acquisire nuovi contatti e premiare i clienti. Dal 2020 è Presidente di 4eCom, associazione di soluzioni per eCommerce da lei co-fondata. Nel 2021 lancia Marlene, soluzione di Live Shopping che aiuta i merchant a creare dirette video sul sito eCommerce. Nel 2023 pubblica il libro “People-Based Marketing”, in cui raccoglie la sua esperienza nel campo del Digital Marketing proponendo un modello di marketing post-cookie “orientato alle persone”.

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Margherita Di Vilio: Dal 2010 Amministratore unico e socio cofondatore di Open Factory Edizioni, Margherita Di Vilio ha una laurea in Scienze della Comunicazione e una Laurea specialistica in Scienze Antropologiche ed Etnologiche. Ha vissuto per brevi periodi nei Paesi Arabi per motivi di ricerca, approfondendo in particolare la conoscenza della lingua araba parlata e scritta. Prima di approdare ad Open Factory Edizioni, ha collaborato con alcune case editrici, partecipando alla realizzazione di diversi progetti.

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Stefania Fazzi: Sono una mamma felice di tre ragazze, presidente e direttrice generale di ENDES realtà che ho fondato nel 1996 quando ero una giovanissima donna neolaureata.
Endes è una realtà veronese, da sempre tutta femminile, che si occupa di organizzare eventi aziendali e congressi a livello nazionale, in presenza e digitali, e fornisce servizi hostess e steward altamente qualificati.
Ad inizio pandemia, ho voluto l’accelerazione di un processo di digitalizzazione iniziato nel 2019 ed abbiamo iniziato a comunicare dopo aver lavorato per 23 anni solo sul passa parola. Oggi comunichiamo su Linkedin, attraverso newsletter e un blog.
Dal 2022 ho voluto per Endes un progetto di corporate responsability che è scaturito oltre che nella certificazione per la sostenibilità, in un manifesto che evidenzia il nostro perché.

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Elena Lucchini: Nata a Voghera il 1° aprile 1984, laureata in Scienze Biologiche e Biomediche presso l’Università degli Studi di Pavia. È stata parlamentare dal 2018 al 2022. Nella scorsa legislatura è stata nominata dal Presidente Attilio Fontana Assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari opportunità.
Nella XII Legislatura è nominata dal Presidente Attilio Fontana Assessore regionale alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari opportunità.

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Maria Medori: Sette anni di esperienza in ruoli trasversali del Marketing internazionale, della Comunicazione e delle Risorse Umane lungo un percorso a cavallo dell’industria chimica, dei servizi B2B e del mondo delle infrastrutture. In ognuno di questi ambiti è rimasto costante l'impegno a promuovere ambienti di lavoro diversificati e inclusivi, combinando l'esperienza nella comunicazione strategica con un approccio HR incentrato sulle persone. Si tratta di infrangere barriere e di riscrivere la narrativa della leadership, all’interno della quale la diversità non sia solo una "checkbox" ma una fonte di forza e innovazione.

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Martina Rogato: Dal 2012 accompagna le aziende in progetti di sostenibilità e diversity e dal 2022 ha fondato la società di consulenza ESG Boutique. Collabora come docente per l'Università LUMSA, la 24ore Business School e la Temple University. È Co-Fondatrice e Presidente onoraria di Young Women Network e fa parte del Women20 Italy, dove nel 2020 è stata scelta come Sherpa e Portavoce per la presidenza italiana del G20. Nel 2023 è stata nominata Co-Chair del Women7 per la presidenza italiana del G7 2024.

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Carola Salvato: Carola Salvato, è esperta di comunicazione e advisor per le strategie nel settore salute, appassionata di Trends-Tech-e Innovation in particolare nel mondo della sanità, da diversi anni è impegnata sui temi dell’empowerment, ESG e D&I. Negli anni della sua carriera ha ricoperto ruoli manageriali in aziende quali Salute&Benessere Network (primo canale televisivo satellitare dedicato al mondo della salute de Il Sole 24 Ore Group) Dedalus Group (servizi ICT rivolti agli HCP e sistema sanitario), McCann Health (IPG Group) e TBWA  Worldwide (Omnicom Group).

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Viviana Solari: Sono laureata in comunicazione politica e istituzionale e ho conseguito un master alla Luiss in lobby, public affairs e comunicazione d'impresa.
Oggi mi occupo di affari istituzionali per un Gruppo Italiano leader nel settore dei trasporti. Sono stata responsabile comunicazione e ufficio stampa in ANIE Federazione, una delle più importanti realtà del mondo confindustriale, delle Relazioni esterne di una società di ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e degli Affari istituzionali Sud Italia per Open Fiber.
Sono stata docente di marketing politico all’Università Niccolò Cusano e di comunicazione ambientale alla Fondazione Promo P.A. Ed ho ricoperto anche incarichi politici: da consigliere comunale a vicepresidente della Commissione sport, pari opportunità, politiche giovanili e servizio civile di ANCI con un focus particolare sulle pari opportunità. Ho inoltre coordinato la NIS (Nazionale Italiana Sindaci) con cui ho organizzato eventi charity sul territorio nazionale.

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Simona Zanette: Inizia in agenzia pubblicitaria (Bozell Londra, Hong Kong, Milano) prosegue in Chrysler Italia come Responsabile Pubblicità e poi Europa come Responsabile Saloni e Motorsport EMEA, arriva in Optimedia e fonda Zed Digital, passa nel Gruppo Condé Nast come Country Manager Digital Francia e poi Russia e nel 2009 torna a Milano come Direttore Marketing Digital. Nel periodo 2010 - 2014 è Country Manager di alfemminile.com. Da febbraio 2012 a marzo 2014 è Presidente di IAB Italia e fino a maggio 2015 membro dell’Executive Committee e del Board di IAB Europe. A luglio 2015 si unisce a Hearst Digital, con sede a Chiasso, divenendone poi CEO. A questo ruolo aggiunge, nel gennaio 2020, la guida dell’area Digital di Hearst Solutions, per le aree Create e Live e, da aprile 2022 del nuovo nato Visual Hub che unisce tutte le professionalità (print e digital, editoriale e commerciale, grafici e video/audio).


Immagine di copertina: Cassidy Mills, Unsplash

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