Squali e razze a rischio estinzione nel Mediterraneo
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Squali e razze a rischio estinzione nel Mediterraneo

La pesca eccessiva e lo spinnamento stanno provocando la scomparsa di diverse specie di elasmobranchi, mettendo a dura prova l’ecosistema di uno dei mari più sfruttati al mondo. Il ruolo dell’Italia.

La pesca eccessiva e il finning stanno accelerando nel Mediteranno l’estinzione di molte specie di elasmobranchi. Nel Mare Nostrum, si legge in uno studio condotto da MedReAct, il 40% delle specie di squali e razze è infatti a rischio di scomparsa. Solo negli ultimi cinquant’anni già 13 specie si sono estinte, mentre il numero degli squali pelagici è diminuito del 54%. Anche perché squali e razze crescono lentamente, maturano tardi e hanno un basso potenziale riproduttivo. Di conseguenza, sono altamente vulnerabili alla pesca eccessiva e alla perdita di habitat. In tutto il mondo vengono uccisi ogni anno fino a 100 milioni di squali e razze, tanto che il 37,5% delle popolazioni di questi pesci potrebbe presto non esistere più. D’altronde, la richiesta di carne di squalo è sempre più elevata e vede tra l’altro il nostro Paese in prima fila. Tra il 2009 e il 2021 l’Italia è stato il terzo paese per le importazioni di prodotti di squalo nel mondo, grazie soprattutto all’export garantito dalla Spagna.

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La pesca eccessiva nel Mediterraneo sta così mettendo a dura prova tutto l’ecosistema di uno dei mari più sfruttati al mondo, già stressato dalle conseguenze del riscaldamento globale e, in particolare, dall’innalzamento della temperatura media dei mari. Le istituzioni comunitarie hanno cercato di correre ai ripari, ma la situazione rimane comunque critica, anche a causa della diffusione della pesca illegale, un fenomeno oltretutto in crescita alla luce della difficile situazione economica che stanno vivendo tanti Paesi affacciati sul Mediterraneo. Oggi nel Mare Nostrum la cattura e la vendita di 24 specie di squali e razze è vietata, mentre per altre 9 specie è necessaria la registrazione delle catture e dei rigetti in mare e la trasmissione dei dati alla Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo. Quello che è emerso, però, dall’indagine di MedReAct, condotta nei porti italiani del Mar Adriatico, Tirreno e Ionio proprio al fine di monitorare la vendita di specie protette di squali e razze, è una diffusa mancanza di consapevolezza delle misure di conservazione da parte degli operatori dei mercati ittici e dei pescatori. In questo modo, esemplari di specie protette dalla legge come lo squalo elefante, lo smeriglio, la razza bavosa, il pesce porco, il diavolo di mare, la razza bianca e lo squalo mako, vengono comunque pescati e commercializzati. 

Ma non è tutto perché, come ha spiegato Marco Milazzo, professore ordinario di Ecologia Marina all'Università di Palermo, in un'intervista al quotidiano la Repubblica, “oggi i Paesi dell'Africa settentrionale sbarcano circa il 70% delle catture di elasmobranchi di tutto il bacino e sono dati sottostimati visto che l'instabilità geopolitica dell'ultimo decennio e la recente pandemia hanno portato ad una forte contrazione delle economie dei paesi nordafricani e al collasso dell'industria turistica: ci sono chiari segnali di un incremento della pesca illegale in questi Paesi, probabilmente per effetto di una domanda crescente di carne di squalo in mercati interni ed a sostegno di un'economia di sussistenza, ma anche da parte dei mercati internazionali”. L’Italia vanta infine un altro triste primato. Insieme a Spagna, Portogallo, Olanda e Francia, il Bel Paese è infatti uno dei maggiori esportatori di pinne di squalo. La pratica del cosiddetto finning, ovvero dello spinnamento, regolamentata nel 2013 in Europa dal regolamento Fins Naturally Attached, è sempre più diffusa per rispondere in particolare alle richieste provenienti dai mercati orientali. Un altro tassello, dunque, nel processo di accelerazione dell’estinzione di specie di elasmobranchi e di impoverimento della filiera del Mar Mediterraneo.

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