Le ultime aree incontaminate del mondo? Distribuite in soli 5 Paesi
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Le ultime aree incontaminate del mondo? Distribuite in soli 5 Paesi

Una mappa rivela per la prima volta la distribuzione delle ultime zone naturali libere da attività industriali: si trovano in una manciata di nazioni ma la loro tutela è una responsabilità globale.

Il destino degli ultimi ecosistemi naturali incontaminati, fondamentali per l’equilibrio dell’intero pianeta, dipende da una manciata di Paesi al mondo: il 70% delle zone libere dallo sfruttamento umano è infatti distribuito tra sole 5 nazioni: Australia, Stati Uniti, Brasile, Russia e Canada.

A svelarlo è una ricerca condotta dall’Università del Queensland e dalla Wildlife Conservation Society, che hanno realizzato la prima mappa globale che individua i Paesi responsabili delle ultime aree del mondo libere da attività industriali. Dall’elenco sono state escluse le aree incontaminate dell’Antartide e dei mari, non comprese all’interno di confini nazionali: scopo dello studio, infatti, è identificare la distribuzione e mettere in luce le responsabilità di tutela.

I siti naturali incontaminati oggetto di studio sono fondamentali non solo in quanto custodi di biodiversità, ma anche in quanto riserve di preziosissime informazioni genetiche: le specie che le abitano hanno infatti Dna che non è stato contaminato dall’azione dell’uomo. Queste aree sono inoltre cruciali punti di riferimento per la determinazione di azioni di recupero di terre degradate e di paesaggi marittimi compromessi dalle attività umane.

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L’importanza della conservazione di queste aree incontaminate emerge ancor più chiaramente se si considera quanto la loro estensione sia esigua rispetto a quella delle terre ampiamente sfruttate dall’uomo: dallo studio è emerso infatti che oltre il 77% delle terre emerse, ad esclusione dell’Antartide, e l’87% degli oceani sono sottoposti a interventi e modificazioni da parte dell’uomo.

Durante la presentazione dello studio, avvenuta nel corso del Convegno ONU sulla Biodiversità che si è svolto in Egitto lo scorso novembre, gli studiosi hanno posto l’accento sulla necessità di un piano di tutela condiviso e internazionale, che non deleghi la responsabilità di queste zone ai soli Paesi nelle quali esse si trovano.

I ricercatori hanno inoltre sottolineato l’importanza di fissare un obiettivo internazionale per la protezione del 100% di queste aree, che passi attraverso la decisione di fermare ogni forma di attività industriale e di prevenirne l’avvio all’interno di questi ecosistemi così importanti per l’equilibrio dell’intero pianeta. Un percorso di salvaguardia che può avvenire soltanto con un’assunzione di responsabilità globale, senza che il compito venga lasciato esclusivamente nelle mani dei Governi che hanno il controllo di queste aree.

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