Il “cotone contaminato” di Zara e H&M in un dossier
Sostenibilità

Il “cotone contaminato” di Zara e H&M in un dossier

“Fashion Crimes” è il dossier di Earthsight che racconta i retroscena del cotone proveniente dal Brasile e utilizzato dai brand di fast fashion.

Lo scorso 11 aprile Earthsight ha pubblicato Fashion Crimes, il dossier che fa luce sulla provenienza del cotone nel fast fashion. Il dato che ha destato maggiore clamore è la provenienza di questo cotone – ottenuto in gran parte dalle piantagioni brasiliane – e la sua qualità. Non come fibra, quanto nel diretto coinvolgimento in tematiche come deforestazione illegale, corruzione politica, violazione dei diritti umani ed esproprio delle terre. Cotone che poi finisce nelle filiere produttive di brand emblema del fast fashion mondiale, come Zara e H&M.

Fashion Crimes: la denuncia di Earthsight

Il report è frutto di un lavoro durato anni che ha coinvolto produttori e acquirenti distribuiti su tutto il mercato globale. Earthsight ha osservato i flussi di spedizioni verso i mercati occidentali e le informazioni rese note dai brand sui fornitori. Questi sono stati poi incrociati con le informazioni pubblicate dalle aziende manifatturiere asiatiche che operano nel tessile. I dati più allarmanti che sono emersi sono quelli, appunto, a carico dell’ambiente e della manodopera. In Fashion Crimes si parla – e non è un caso – di tainted cotton, di “cotone contaminato”, sporcato dalla violenza esercitata in tutte le fasi della sua produzione. Una fibra estratta gravando pesantemente su decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, prostrati da condizioni di lavoro inumane e assenza dei diritti basilari.


L’industria di illegalità tessile

I produttori imputabili dei maggiori danni ambientali e umani sono SLC Agrícola e Grupo Horita, che operano principalmente nello stato di Bahia. Come intuibile, l’approvvigionamento dei brand di fast fashion occidentale non avviene in modo diretto da questi produttori. C’è un sistema di aziende mediatrici che acquista la fibra grezza e la lavora, per poi vendere i semilavorati ai grandi gruppi. Nelle subregioni brasiliane si consumano quotidianamente storie di soprusi. Esproprio illegale di terre agli autoctoni e coltivazioni intensive fanno da base per il precipitare di complesse situazioni. Con il favore di politici locali e nazionali, infatti, le condizioni negli appezzamenti brasiliani sotto il controllo indiretto delle multinazionali sono andate peggiorando. Ed è stato possibile oliando un sistema di tangenti che ha permesso la deforestazione di aree sempre maggiori e la loro conversione ad area coltivata.


La ricaduta sui mercati occidentali: il fast fashion

E, stando ai numeri, i due nomi di maggior rilievo coinvolti, cioè Zara e H&M, hanno importato cotone dai produttori più controversi per 816.000 tonnellate. In modo analogo, anche le aziende asiatiche analizzate e localizzate in Cina, Vietnam, Indonesia, Turchia, Bangladesh e Pakistan si sono rivelate le destinatarie principali delle esportazioni di SLC Agrícola e Grupo Horita. Zara fa parte del gruppo industriale Inditex a cui fanno capo altri colossi del fast fashion e che ha quasi 6000 punti vendita nel mondo. H&M, dal canto suo, non ha nulla da invidiare con i suoi oltre 4000 negozi. Si tratta di volumi imponenti, brand che muovono tonnellate di tessili ogni anno. E come sottolineato, non senza preoccupazione, dall’UE, H&M propone tra le 12 e le 16 nuove collezioni ogni anno, mentre Zara si attesta sulle 24.

Nonostante questo gigantesco background di illegalità, il paradosso è che questo cotone può anche concorrere per l’ottenimento di etichette di sostenibilità. Questo è dovuto sia alle debolezze intrinseche del sistema, sia all’inaccessibilità di alcuni dati e al conflitto di interessi in atto per le aziende coinvolte. Per contenere questi rischi, alcune organizzazioni stanno provando a ridefinire i propri standard qualitativi, dimostrando che occorre essere estremamente vigili su tematiche così articolate e delicate.

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