Una falsa soluzione: studi dimostrano i danni del riciclo della plastica
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Una falsa soluzione: studi dimostrano i danni del riciclo della plastica

Immagine: FLY:DUnsplash

In vista dei recenti negoziati Onu a Parigi per l'approvazione di un trattato globale sulla plastica, sono stati pubblicati molti studi sul tema. Da alcuni di questi emerge una verità allarmante, che rende necessaria una revisione della strategia globale: il riciclo della plastica, anziché essere una soluzione, aggrava il problema dell'inquinamento.


Da sempre il riciclaggio è stato promosso dall'industria della plastica come soluzione chiave al crescente problema dei rifiuti generati dal settore. In totale opposizione a questa tesi, alcuni recenti studi hanno dimostrato, con differenti focus, che il processo di riciclaggio aggrava l'inquinamento, con gravi ricadute sugli ecosistemi e sulla salute umana. Le analisi, indipendenti fra loro, sono state realizzate a ridosso di una sessione di negoziati Onu - tenutasi a Parigi dal 29 maggio al 2 giugno scorsi - per l'approvazione di un trattato globale sulla plastica.

Microplastiche tossiche nelle acque reflue e nell'aria

La prima di queste analisi trova spazio in un commento fra le pagine del Guardian: un team internazionale di scienziati ha prelevato campioni di acque reflue da un impianto di riciclaggio all'avanguardia in una località sconosciuta nel Regno Unito.

Gli studiosi hanno scoperto che le microplastiche rilasciate ammontavano a ben 13% della plastica lavorata: una percentuale altissima, che si disperde nell'acqua nella quantità stimata di circa 75 miliardi di particelle di plastica in ogni metro cubo. Un dato che- riguardando  un impianto virtuoso impegnatosi a installare un sistema di filtraggio, non sempre presente nelle strutture- esclude forzosamente false speranze.

"Sono rimasta incredibilmente scioccata", ha commentato Erina Brown, la ricercatrice principale dello studio, condotto presso l'Università di Strathclyde a Glasgow. “Fa paura perché il riciclo è stato pensato per ridurre la problematica e proteggere l'ambiente, mentre è un grosso problema che stiamo creando”.

I risultati hanno, inoltre, rivelato alti livelli di microplastiche nell'aria intorno all'impianto di riciclaggio, con il 61% delle particelle di dimensioni inferiori a 10 micron, collegate allo sviluppo di malattie umane.

I rischi delle plastiche riciclabili a contatto col cibo

Un'altra ricerca, condotta da una serie di scienziati coordinati dal Food Packaging Forum di Zurigo, lancia l'allarme sulle plastiche riciclate a contatto col cibo. Il quadro descrive materiali contaminanti, veicolo di agenti chimici pericolosi per la salute umana (formaldeide, benzene, metalli pesanti, per citarne alcuni), accumulati e rilasciati negli alimenti durante il processo di riciclo.

Lo studio sottolinea, in particolare, la nostra attuale incapacità di valutare adeguatamente i rischi a lungo termine di un'esposizione cronica a tali sostanze.

Forever Toxic: l'analisi di Greenpeace

Anche il nuovo report di Greenpeace, Forever Toxic, analizza le materie plastiche come pericoloso veicolo agenti contaminanti, in ogni stadio del suo ciclo di vita. Dei 13mila elementi chimici contenuti nella plastica vergine, 3.200 sono considerati oggetto di preoccupazione. Secondo quanto espresso nel report, la plastica riciclata inoltre può contenere livelli più alti di sostanze tossiche, derivate dal processo di riciclo stesso, che trasforma materiali plastici diversi in composti a tutti gli effetti nuovi, con gradienti di pericolosità sulla salute umana via via meno conosciuti.

In particolare, le sostanze chimiche pericolose si fanno strada nel riciclaggio delle materie plastiche di varia provenienza in tre modalità, tanto più subdoli in quanto sostanzialmente incontrollabili:

  1. Sostanze chimiche tossiche originali veicolate nelle nuove materie plastiche: le sostanze chimiche tossiche presenti in origine possono trasferirsi nelle plastiche riciclate;
  2. Assorbimento di sostanze tossiche da rifiuti plastici: numerosi studi dimostrano che la plastica può assorbire contaminanti per contatto diretto e attraverso l'assorbimento di composti volatili. Ad esempio, contenitori di plastica per pesticidi, solventi per la pulizia e altre sostanze chimiche tossiche che entrano nella catena di riciclaggio possono provocare contaminazioni della plastica riciclata.
  3. Creazione di nuove sostanze chimiche tossiche durante il processo di riciclo: il processo di riciclaggio- ad esempio la fase di riscaldamento dei materiali- può generare nuove sostanze chimiche tossiche, che restano all'interno del materiale finito.

Quali alternative? Serve un cambio di prospettiva

A fronte delle evidenze emerse, scommettere sul riciclo come soluzione al problema della plastica appare quantomeno anacronistico.

 

Così, il percorso che entro il 2024 dovrebbe portare alla produzione di un trattato internazionale per la riduzione dell'impatto della plastica a livello globale dovrà strutturarsi attorno a un mix di soluzioni che, secondo le molte voci autorevoli, non possono prescindere da un cambio di prospettiva. Consapevoli che, se la plastica non potrà essere completamente eradicata dal sistema- si pensi ad esempio, agli utilizzi dei materiali plastici nei dispositivi medici- una strategia ragionata e realmente mirata alla soluzione del problema potrebbe rendere avvicinabili obiettivi di riduzione che superano il 90%.

A questo proposito, è la stessa Greenpeace nel suo “Forever Toxic” a fornire una possibile strada alternativa, da declinare all'interno dell'atteso trattato globale sulla plastica. Secondo l'associazione ambientalista, “invece di incoraggiare il riciclaggio delle sostanze tossiche della plastica”, il Trattato globale sulla plastica deve:

  1. Ottenere riduzioni immediate e significative in termini di produzione di plastica, stabilendo un percorso che porti a terminare la produzione di plastica vergine.
  2. Promuovere il passaggio verso economie incentrate sul recupero e sul riutilizzo, creando nuovi posti di lavoro e standard a rifiuti zero.
  3. Sostenere una transizione equa per i lavoratori della filiera della plastica.
  4. Promuovere tecnologie di non combustione per le scorte di plastica e lo smaltimento dei rifiuti.
  5. Istituire il principio del “chi inquina paga” per la plastica, la gestione dei rifiuti e per affrontare il problema dei costi sanitari e ambientali in tutto il ciclo di vita della plastica.
  6. Migliorare significativamente la regolamentazione, la supervisione, la sicurezza e le tutele dei lavoratori per gli impianti di riciclaggio esistenti.
  7. Richiedere trasparenza sulle sostanze chimiche presenti nella plastica ed eliminare tutti gli additivi tossici utilizzati nel ciclo di vita della plastica.

A partire da ciò, servono sì, innanzi tutto, nuove tecnologie e materiali chemical free, che evitino a monte la presenza di sostanze tossiche nocive nella loro composizione, non dimenticando di tenere conto del possibile impatto occulto delle papabili alternative. 

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Tuttavia, da sole queste rischiano di rivelarsi insufficienti: l'abbattimento della domanda e del consumo di plastica sembra dover passare necessariamente da una revisione degli stili di vita, che in primis soppianti in tempi rapidi la cultura dell'usa e getta e la conseguente produzione di rifiuti nella maggior parte dei settori possibili. Sinergie industriali, condivisione di risorse, noleggio di beni, riparabilità degli oggetti sono, inoltre, principi che- se incentivati in ottica di economia circolare- possono generare un cospicuo risparmio di nuove risorse. E contribuire ad attenuare un problema che, se affrontato con gli attuali metodi, promette di triplicare i suoi numeri entro il 2060.

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