Investitori istituzionali, la finanza sostenibile piace sempre di più
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Investitori istituzionali, la finanza sostenibile piace sempre di più

Immagine: Austin Distel, Unsplash

L’indagine del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali fa il punto sulle strategie di casse di previdenza, fondi pensione negoziali e preesistenti, fondazioni di origine bancaria e compagnie di assicurazione nell’ambito delle politiche ESG.


La sensibilità degli investitori istituzionali italiani nei confronti della finanza sostenibile e responsabile e dei criteri ESG si va via via consolidando, nonostante lo scenario geopolitico segnato dalla guerra russo-ucraina, dalla corsa dell’inflazione e dalle turbolenze dei mercati finanziari. Casse di previdenza, fondi pensione negoziali e preesistenti, fondazioni di origine bancaria e compagnie di assicurazione mettono in atto strategie sempre più attive in questo ambito, con risorse orientate in particolare verso la tutela dell’ambiente e a favore delle energie rinnovabili. E’ quanto mette in luce la terza edizione della pubblicazione “Le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”, realizzata dal Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali. Il totale dei rispondenti alla nuova indagine si attesta a 123 per un totale patrimoniale, al netto delle compagnie di assicurazione, di più di 246 miliardi di euro, pari a circa l’86,5% dei patrimoni finanziari totali degli investitori previdenziali e fondazionali italiani. Nel 2022, il primo anno tra l’altro che aveva visto l’inserimento del settore assicurativo nel campione, a rispondere erano stati invece 106 soggetti.

Più della metà degli investitori istituzionali, ovvero 64 enti, dichiara di adottare politiche di finanza ESG, volte soprattutto alla tutela dell’ambiente, mentre tra i 59 enti che dicono di non avere ancora avviato questo percorso l’80% sostiene che il tema è già stato discusso e che questa tipologia di investimenti sarà implementata in futuro. Tra chi ha già investito nella finanza legata alla sostenibilità, il 19% lo ha fatto da più di cinque anni, il 22% da meno di un anno, mentre il 59% si colloca nella fascia 1-5 anni. Il 65% di queste realtà indica la lotta contro il cambiamento climatico l’obiettivo più importante del suo investimento tra quelli indicati dall’Agenda 2030, il 53% opta per il lavoro dignitoso e la crescita economica, il 49% per l’energia pulita e accessibile, il 43% per la parità di genere e il 42% per la salute e il benessere.

Il 38% poi riserva una quota del suo patrimonio compresa tra il 75% e il 100% agli investimenti sostenibili e responsabili (in riduzione rispetto al 42% del 2022), il 24% tra il 50% e il 75% (in aumento dal 21% dello scorso anno), il 17% tra il 25% e il 50% (meglio del 13% del 2022) e, infine, il 21% tra lo 0 e il 25% (contro il precedente 24%). Relativamente agli obiettivi e alle motivazioni che hanno spinto l’ente a introdurre queste politiche, l’86% sostiene che sia stata la volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile, il 69% per una più efficace gestione dei rischi finanziari, il 44% per il miglioramento reputazionale dell’ente, il 22% per il miglioramento dei rendimenti e il 20% per la pressione del regolatore. Quest’ultima è la voce che aumenta di più rispetto all’anno precedente (quando era al 15%), segno di un contesto normativo comunitario sempre più stringente.

Lo scenario futuro e l’impatto della pandemia

Guardando al futuro, il 51% di chi ha risposto al questionario dice di voler incrementare l’investimento in strumenti sostenibili. Una percentuale in calo rispetto al 68% del 2022, una diminuzione motivata dal fatto che- si legge nel rapporto- “andamento dell'inflazione, rialzo dei tassi di interesse, situazione geopolitica, periodo post pandemico e rendimenti 2022 sicuramente al di sotto delle medie e dei benchmark hanno portato gli investitori istituzionali in una situazione di stallo e di vigile attesa per quanto riguarda il futuro”. Per quanto riguarda la quota di patrimonio a cui applicare le strategie sostenibili, il 61% dei rispondenti dichiara di voler rimanere entro il 50% del totale, mentre il 22% indica tra il 75% e il 100%. Se diminuisce la percentuale di chi ritiene che la pandemia abbia accelerato il ricorso alla finanza ESG (dall’87% dello scorso anno al 76%), il Covid continua comunque a impattare sulle tipologie di investimento sostenibile che sarà attuato in futuro dai soggetti istituzionali. Alla luce degli effetti generati dalla pandemia, i settori dove saranno indicati maggiormente i futuri investimenti in chiave ESG sono le energie rinnovabili (56% contro il 68% del 2022), le infrastrutture sanitarie (36%, stabile) e l’healthcare (29%, in calo rispetto al 45% dello scorso anno).

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Alla ricerca hanno partecipato tutte le 19 casse di previdenza dei liberi professionisti (a eccezione di Onaosi), per un totale attivo rappresentato di oltre 97 miliardi; 36 fondazioni di origine bancaria (circa 36,6 miliardi di attivo, vale a dire il 77% del totale delle 86 fondazioni bancarie italiane); 19 fondi pensione preesistenti e 28 negoziali, per un attivo netto destinato alle pensioni rispettivamente di 49 e 63,5 miliardi di euro (il 72% e il 97% dell’Andp complessivo); e infine 21 compagnie di assicurazione, per un totale investimenti prossimo ai 300 miliardi, rappresentativo di circa il 42% del totale investimenti della classe C (rami Vita diversi dai prodotti Linked e rami Danni).

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