La stagione dei pollini è in anticipo: tutta colpa dei cambiamenti climatici?

La stagione dei pollini è in anticipo: tutta colpa dei cambiamenti climatici?

Più pollini nell’aria, in anticipo rispetto al passato: dalla fondazione Edmund Mach il primo studio che mette in correlazione tempi, concentrazione e spettro pollinico con i cambiamenti climatici in corso negli ultimi 25 anni. 

Con il ritorno della bella stagione, per tutti i soggetti sensibili tornano anche i disagi legati alla presenza del polline nell’aria. Un problema con il quale, forse, dovremo fare i conti in modo ancor più deciso in futuro. Proprio così: al lunghissimo elenco di macro e micro conseguenze dei cambiamenti climatici in corso, occorre aggiungere anche l’anticipo e l’allungamento della stagione dei pollini, nonché la possibilità di una loro maggiore concentrazione nell’aria.

Va detto che, ad oggi, riguardo alla correlazione tra cambiamenti climatici e pollini, c’è ancora molto su cui far luce. Il motivo è semplice e ce ne ha parlato la dottoressa Elena Gottardini, del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach: “Ad oggi, mancano serie storiche sufficientemente lunghe sulle quali poter svolgere delle analisi. Il Mach è il laboratorio con le serie storiche più lunghe in Italia”. Ecco perché proprio da qui arriva il primo studio che pone attenzione sul tema con un arco temporale ad ampio raggio e offre le prime, seppur parziali, conclusioni.

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Lo studio “Come cambiano i pollini in aria: è colpa del clima?” si basa su dati raccolti a San Michele dell’Adige negli ultimi 25 anni e si focalizza sulla tendenza all’anticipo della stagione dei pollini, sull’analisi dello spettro pollinico e sulla concentrazione di pollini nell’atmosfera, mettendo i fenomeni in correlazione con i cambiamenti climatici in corso.

Mentre l’anticipo della stagione appare come una diretta conseguenza delle condizioni climatiche, la maggiore concentrazione di pollini nell’aria può avere diverse concause: “La concentrazione è effettivamente in aumento nell’area esaminata, pur se con un andamento altalenante nel corso degli anni. Le ragioni possono essere varie: una produzione maggiore può essere una reazione delle piante alla crescente presenza di anidride carbonica nell’aria. La maggiore diffusione di un determinato tipo di polline, invece, può essere frutto di un crescente utilizzo della specie come pianta ornamentale, nelle case e negli arredi urbani. Un ulteriore fattore influente è l’abbandono dei terreni agricoli: lasciati incolti, i campi diventano luoghi di proliferazione delle graminacee”.

Per una visione più chiara della correlazione evidenziata dallo studio, occorre portare avanti ulteriori indagini, concentrandosi sulle singole varietà di piante. Per dare seguito all’analisi, inoltre, è fondamentale poter ampliare l’area geografica monitorata: “Ci stiamo attivando per esportare l’approccio ad altri centri di ricerca per raccogliere e confrontare dati provenienti da aree geografiche diverse, in modo tale da poter sviluppare una visione più ampia del fenomeno”. La strada è ancora lunga, ma il percorso è iniziato.

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