Riparare anziché sostituire è un diritto. A che punto siamo?
Ambiente

Riparare anziché sostituire è un diritto. A che punto siamo?

Intervista a Ugo Vallauri, co-fondatore di The Restart Project e parte del movimento Right to Repair Europe.

Diritto alla riparazione. Lo scorso febbraio, Consiglio e Parlamento UE hanno raggiunto un accordo sulla proposta di direttiva da parte della Commissione, che mira a “ridurre gli sprechi e sostenere il settore delle riparazioni, rendendole più accessibili e convenienti”. Come buonsenso richiederebbe, a discapito della distopica- ma dilagante- cultura dell’usa e getta cui si è da tempo abituati: secondo la Commissione europea, lo smaltimento prematuro di beni di consumo sostenibili provoca ogni anno 261 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 equivalenti, erode 30 milioni di tonnellate di risorse, generando 35 milioni di tonnellate di rifiuti. Con perdite economiche commisurate allo spreco, quantificate in circa 12 miliardi di euro.

Il voto confermativo per l’adozione finale del provvedimento è previsto entro il mese di aprile, ma in cosa consiste con precisione e quanto può essere considerato soddisfacente? Cosa può essere migliorato, o ampliato? E cosa si può fare per innescare il cambio di rotta necessario a instaurare- supportandola in ogni settore e fase- una vera e propria cultura del riuso e della riparazione? Ne abbiamo parlato con Ugo Vallauri, co-fondatore e co-direttore di The Restart Project, nonché parte attiva del movimento Right to Repair Europe.

 

The Restart Project. Chi siete e quali sono i vostri obiettivi?

Siamo un’organizzazione senza fini di lucro, una “charity” fondata nel 2013 a Londra, rispetto al sistema italiano siamo l’equivalente di una fondazione. Il nostro obiettivo principale è di ripensare il nostro rapporto con tutti i prodotti elettronici a partire da un ritorno all’economia della riparazione e del riuso, per ridurre i rifiuti elettronici e i danni delle pratiche estrattive alla base dei livelli attuali di produzione di tutti i device che usiamo nella vita quotidiana. Abbiamo iniziato creando i “Restart Parties”, eventi comunitari in cui le persone riparano prodotti insieme a volontari, per evitare di buttarli via. Ma il problema è sistemico, quindi lavoriamo con coalizioni internazionali per cambiare le leggi.


 

Cos’è “Right to Repair Europe” e quali sono i punti fondanti della campagna che promuove?

Right to Repair Europe è una coalizione che abbiamo fondato e conta oltre 130 organizzazioni in 23 Paesi europei, che si battono per un diritto universale alla riparazione.

Questo vuol dire leggi che:

1) obblighino le case produttrici a progettare tutti i prodotti in modo che sia più facile smontarli e ripararli;

2) facciano sì che riparare abbia costi accessibili, sia attraverso l’accesso a pezzi di ricambio compatibili e usati, che attraverso politiche fiscali che riducano i costi dei servizi di riparazione

3) eliminazione delle barriere software alla riparazione, cioè obbligare le case produttrici a supportare più a lungo i prodotti che mettono sul mercato attraverso aggiornamenti software e di sicurezza, nonché vietare le pratiche di “parts-pairing”, cioè l’uso del software per limitare l’uso di pezzi di ricambio non ufficiali

4) informare i consumatori sull’effettiva riparabilità dei prodotti al momento dell’acquisto.   


Come ha accolto la coalizione la recente intesa tra Consiglio e Parlamento Ue sulla direttiva che promuove la riparazione dei beni?


Si tratta di un passo avanti importante, ma in realtà più limitato di come è stato raccontato e percepito. La direttiva (che avrà l’ultimo voto confermativo per parlamento europeo per l’adozione finale entro aprile) si concentra sui diritti dei consumatori ad avere accesso a opzioni per riparare i prodotti una volta conclusa la garanzia, nonché a poter acquistare pezzi di ricambio a prezzi ragionevoli. Però si occupa di un numero di categorie di prodotti molto limitato, quelli già coperti da regolamenti ecodesign che prevedano obblighi per design più riparabile, quindi elettrodomestici quali frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici, televisori, smartphone e tablet. Ma ignora per ora, per esempio, tutte le altre categorie di prodotti, dalle cuffie stereo, ai piccoli elettrodomestici da cucina e tanti altri prodotti, per cui l’Europa non ha ancora sviluppato criteri di riparabilità. 

Per i prodotti in garanzia, la direttiva prevede un’estensione della garanzia di almeno un anno se i consumatori scelgono che il prodotto sia riparato invece che sostituito, anche se questo incentivo da solo potrebbe non essere sufficiente dal nostro punto di vista per evitare che prodotti riparabili diventino rifiuti elettronici anzitempo.

Un aspetto interessante della direttiva è il riconoscimento dell’importanza di incentivi fiscali quali i fondi per la riparazione già esistenti in Francia, Austria e parte della Germania, strumenti che permettono al consumatore di ridurre i costi di riparazione fino al 50%. La direttiva però non impone che in ogni Paese vengano istituiti questi fondi, l’implementazione potrà variare molto. Ricordiamo che dopo l’approvazione finale, ogni Paese membro avrà due anni per implementare la direttiva nella legislazione nazionale.
 


Quali sono i prossimi step a livello legislativo? Quali sono gli ostacoli e i nodi che restano da superare per far sì che il diritto alla riparazione diventi un’opzione reale per i consumatori? 

La campagna lavorerà molto con i membri in tutti i Paesi per far sì che l’implementazione della direttiva sia il più possibile ambiziosa. Ma il nostro lavoro in realtà è ad ampio raggio.
 

Stiamo contribuendo a processi legislativi paralleli, per principi di riparabilità di altre categorie di prodotti, ad esempio stampanti, aspirapolvere, computer. Questi processi contribuiranno anche ad avere nel medio e lungo periodo etichette di riparabilità per questi prodotti, per aiutare i consumatori a scegliere prodotti più riparabili al momento dell’acquisto. Stiamo anche contribuendo allo sviluppo di linee guida per l’attuazione dal 2027 del nuovo regolamento sulle batterie, che per molti prodotti permetterà ai consumatori di sostituire personalmente le batterie di prodotti che spesso vengono invece riciclati perché attualmente venduti con batterie saldate al prodotto.


Cosa serve ora?

Crediamo però che si debba fare un salto di qualità per accelerare questi processi, perché la velocità con cui continuano a crescere a livello globale i rifiuti elettronici impone di agire con molta più urgenza, anche visto che molti dei materiali usati nei prodotti di consumo - a partire dal litio - sono necessari per la transizione energetica, quindi non possiamo permetterci sprechi.

In Italia, ci auguriamo di avvicinare molte più organizzazioni a questi temi, per fare pressione su governo e parlamento per una legislazione nazionale che aiuti il ritorno a una forte economia del riuso e della riparazione. Chi è interessato può unirsi alla campagna a https://repair.eu/it.


    

Immagine di copertina: Mark A. Phillips, Unbroken.Solutions

N_crisi climatica

Potrebbero interessarti ...

  • Su di noi

    Nonsoloambiente è un magazine online interamente dedicato all’informazione ambientale, che vuole offrire un contributo alla diffusione della cultura sostenibile, donando ai suoi lettori una visione pluralista e aggiornata sulle principali novità del settore, attraverso contenuti freschi, originali e di qualità.