Bitcoin, la moneta del futuro?

Bitcoin, la moneta del futuro?

Se i Bitcoin si riveleranno l’ennesima bolla speculativa, lo scopriremo tra qualche tempo; intanto siamo praticamente certi che il loro impatto sul Pianeta è decisamente negativo.

Per chi ancora non sapesse di cosa stiamo parlando, ecco un breve riassunto: i Bitcoin sono una criptovaluta cioè una moneta fisicamente inesistente, utilizzabile solo sul web. Creati nel 2008, vengono estratti dalla rete esattamente come fossero un minerale, cioè ‘scavando’ all’interno di una cosiddetta “blockchain”, un database condiviso contenente tutte le transazioni effettuate fin dall'assegnazione della prima moneta. Per sbloccare le monete virtuali, è necessario individuare un codice specifico attraverso una serie di operazioni informatiche molto complesse.

Al di là dell’affidabilità economica, di sicuro la loro estrazione richiede una potenza di calcolo molto elevata: non basta un solo terminale ma ne servono moltissimi, coordinati tra loro, per formare una cosiddetta “bitcoinfarm”. Queste fattorie di computer lavorano giorno e notte, per formulare algoritmi adatti ad estrarre la moneta 2.0 che, negli ultimi mesi, ha avuto un costante rialzo: mentre scrivo, i Bitcoin si sono più o meno ‘stabilizzati’ ed una singola moneta vale circa 15.000 dollari.

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Il lavoro di calcolo deve essere incessante anche perché, proprio come per le vene di minerale pregiato, anche le blockchain sono destinate ad esaurirsi: il loro limite estrattivo è fissato con la creazione/estrazione massima di 21 milioni di criptomonete entro il 2034.

Mettendo insieme tutte queste informazioni, si arriva al nodo della questione: se considerassimo tutti i ‘cacciatori’ di Bitcoin come un’unica nazione, questa si piazzerebbe attorno al 61° posto della classifica mondiale per consumo energetico, più o meno alla pari del Marocco.

Non solo: il consumo elettrico è necessario anche alla creazione stessa della valuta informatica e il fatto che le più grandi fabbriche di Bitcoin si trovino in Cina rende il ciclo produttivo molto impattante. Il colosso asiatico, per dotarsi dell’enorme quantità di energia necessaria al “mining” cioè il processo produttivo e di scambio, spesso utilizza fonti fossili che estrae e lavora attraverso processi obsoleti e inquinanti.

Così, se l’ingresso nei mercati nobili (il 10 dicembre, i Bitcoin hanno fatto il loro esordio nella finanza ‘classica’, attraverso il mercato dei futures di Chicago) tutelerà maggiormente gli investitori, di contro, incrementerà queste attività inquinanti.

Secondo Izabella Kaminska, editorialista del Financial Times, stiamo parlando di una realtà economica dallo “scarsissimo valore sociale-costruttivo”. Lo scopo finale dei Bitcoin sembra infatti essere la mera speculazione e il contestuale dispendio energetico li rende doppiamente dannosi.

Paradossalmente, le compagnie che hanno segnato i passi fondamentali dell’economia 2.0 e che ogni giorno si sfidano per conquistare il maggior numero di ‘interfaccia-utente’, dimostrano attenzione per l’ambiente, mentre, nel caso di questa valuta virtuale, siamo di fronte a qualcosa che segna il passo contrario.

In questo contesto, è particolarmente interessante l’intuizione di Tom Goodwin, vice presidente del settore strategia ed innovazione di Havas Media, che schematizza i passaggi cruciali dell’economia mondiale recente.

Aziende come Facebook e Alibaba praticano politiche di sostenibilità molto efficaci; Airbnb e Uber si inseriscono nel solco ‘green’ della sharing economy. La nuova critpovaluta, invece, compie un salto all’indietro.

Per Paul Krugman (professore di Economia e di Relazioni Internazionali all'Università di Princeton), i Bitcoin sono ciò che le monete rappresentavano per Adam Smith nel 18° secolo: uno spreco di materiali preziosi in nome di qualcosa che possedeva un valore solamente formale.

“Eccoci ora qui nell’era dell’alta tecnologia informatica, dove la gente pensa sia intelligente, anzi all’avanguardia, creare una sorta di moneta virtuale la cui creazione richiede uno spreco di risorse reali”.

Paul Krugman, premio Nobel per l’economia

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