Economia circolare: l’Italia al primo posto, ma rallenta la corsa
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Economia circolare: l’Italia al primo posto, ma rallenta la corsa

L’economia circolare premia l’Italia tra le migliori realtà per produttività delle risorse, ma il percorso richiede ancora diversi passaggi affinché la linea della produzione possa chiudere il cerchio e arrivare a toccare il punto di zero waste.

 Il mese di marzo è stato caratterizzato da numerosi incontri dedicati all’economia circolare, tra questi la presentazione a Roma del primo rapporto sull’Economia Circolare, a cura di Circular Economy Network ed Enea, e la conferenza “Chiudere il cerchio. Recuperare gli scarti per migliorare il riciclo e l’economia nel settore della carta”, promossa da Acea Ambiente, Assocarta e Comieco.

Filo conduttore di questi interventi, l’intenzione di analizzare la capacità di miglioramento dei settori coinvolti nell'economia circolare, per proporre misure di sviluppo pratiche ed efficaci. «Oggi il nostro Paese ha tutte le qualifiche per una transizione di successo dall'economia lineare all'economia circolare - conferma Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dell’ENEA - ma occorre superare ancora ostacoli e barriere. Da qui l’importanza di dar vita a un’Agenzia Nazionale per l’uso e la gestione efficiente delle risorse che possa supportare la transizione verso l’economia circolare in termini di tecnologie, metodologie e strumenti di pianificazione, gestione e misurazione».

Se infatti l’Italia gode di un ottimo primo posto nelle classifiche europee che misurano l’indice complessivo di circolarità, rispetto all'andamento 2017 il Belpaese si è guadagnato un solo punto in più, mentre paesi come Francia e Spagna, se pur nel 2018 non siano riuscite a conquistare il podio, sono riuscite ad avanzare rispettivamente di 7 e 13 punti. «Se non si recepiscono pienamente le politiche europee – spiegano gli esperti di Circular Economy Network - facendo tra l’altro partire i decreti che tecnicamente regolano il trattamento e la destinazione di quelli che finora sono considerati rifiuti e che invece possono diventare una risorsa per la manifattura italiana, rischiamo di perdere non solo un primato, ma un’occasione di rilancio economico fondamentale».

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Intenzionato a delineare una strategia chiara, Edo Ronchi, Presidente Fondazione per lo sviluppo sostenibile e di Circular Economy Network, riprende il Rapporto nazionale sull'economia circolare e sintetizza le 10 proposte dedicate a tenere alto il livello di performance in Italia puntando sulla sostenibilità ambientale:

  • diffondere e arricchire la visione, le conoscenze, la ricerca e le buone pratiche dell’economia circolare.
  • Implementare una strategia nazionale e un piano d’azione per l’economica circolare.
  • Migliorare l’utilizzo degli strumenti economici per l’economia circolare.
  • Promuovere la bioeconomia rigenerativa.
  • Estendere l’economia circolare negli acquisti pubblici.
  • Promuovere l’iniziativa delle città per l’economia circolare.
  • Realizzare un rapido ed efficace recepimento del nuovo pacchetto di direttive europee per i rifiuti e l’economia circolare.
  • Attivare rapidamente un efficace end of waste: strumento indispensabile per un’economia circolare.
  • Assicurare le infrastrutture necessarie per ‘economia circolare.
  • Estendere l’economia circolare anche al commercio online.

Sulla carta i concetti funzionano, restano da affrontare gli ostacoli che sembrano vivere molte aziende italiane, su tutte l’industria cartaria, divisa tra costi e innovazione: per arrivare a un’economia realmente circolare le imprese dedicate al riciclo di questo materiale dovrebbero essere in grado di ottimizzare tutti i processi di trasformazione, arrivando all'obiettivo rifiuti zero.

Attualmente però il riciclo della carta genera pulper, una miscela residuale composta da tutti quei materiali che non possono più rientrare nel processo produttivo. Per questo prodotto di scarto si aprono due strade: la discarica o la combustione per recupero energetico, soluzione, quest’ultima, che provoca non poche obiezioni: il costo ambientale del trasporto degli scarti di pulper verso inceneritori e discariche; i costi di smaltimento del materiale; i conflitti con i comitati nimby – not in my back yard.

Al momento il recupero energetico sembra essere la soluzione maggiormente attuata per gestire gli scarti del riciclo della carta, ma «questa opzione preferenziale – spiega Massimo Medugno, Direttore Generale di Assocarta, intervenuto durante la Conferenza “Chiudere il Cerchio” - si scontra con l’impossibilità da parte di imprese italiane di installare questo tipo di impianti all’interno dei propri siti produttivi e la concomitante mancanza, all’esterno dei siti produttivi, di infrastrutture sufficienti per recuperare energeticamente le quantità di scarto di pulper generate dall’industria del riciclo. Ciò mette in discussione il riciclo della carta e l'economia circolare».

La linea si blocca in curva, a meno che non sia possibile una terza via, sicuramente innovativa, ma al momento poco praticabile su scala industriale: l’inserimento di pulper in un nuovo processo di produzione, altamente innovativo.

E’ il caso di LIFE ECO-PULPLAST, progetto coordinato da Selene Spa, Lucense, Serveco e Zero Waste Europe, cofinanziato grazie a fondi dell'Unione Europea, nato dall’idea di trasformare il pulper in un prodotto plastico finito, il pallet. Nel 2018 si è conclusa la fase sperimentale e i ricercatori si avviano in questi mesi verso l’obiettivo industriale, “Life-Ecopulplast industrialisation and market uptake” grazie ad una partecipazione al bando LIFE 2018 - Environment and Resource Efficiency.

Le imprese in Italia hanno voglia di migliorarsi e mettersi in gioco in un’economia sempre più dinamica e competitiva. Ma servono norme in grado di ottimizzare i processi e incentivi mirati, come sottolinea Edo Ronchi, «serve anche una visione politica e amministrativa che manovri le leve della fiscalità, degli incentivi all'innovazione in favore dell’economia circolare, che va pensata non come un comparto, ma come un vero e proprio cambiamento profondo di modello economico».

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