Certificazioni di moda sostenibile: guida al fashion che tiene davvero all’ambiente
Sostenibilità

Certificazioni di moda sostenibile: guida al fashion che tiene davvero all’ambiente

Alla scoperta di associazioni e organizzazioni che lavorano per identificare standard qualitativi di sostenibilità e per mostrare il volto buono del settore fashion con filiere produttive a basso impatto.

Si fa presto a dire moda sostenibile. Nel tempo, molte aziende hanno fatto propria questa definizione, nonostante il loro modus operandi fosse ben lontano dai criteri di sostenibilità. Lo dimostra il fenomeno del greenwashing, incredibilmente diffuso nel settore dell’abbigliamento. Si è già visto il duro impatto che molte produzioni tessili hanno e come le filiere produttive, ben lontane dall’essere green, spesso siano in forte contrasto con claim pubblicitari ambientalisti.

Eco-friendly ma non solo

Dress the change è un’associazione di promozione sociale che da cinque anni aiuta i consumatori a distinguere un approccio genuinamente green da uno di facciata. E lo fa individuando le maggiori organizzazioni e le relative certificazioni di moda sostenibile che lavorano per capire se i vestiti che indossiamo sono dannosi per l’ambiente (ma non solo). Tra i più noti c’è l’International Organization for Standardization (ISO), che si occupa di definire standard internazionali comuni. Oltre alla qualità e alla sicurezza, ci sono le tematiche ambientali, classificate sotto la sigla ISO 1400, e quelle relative alla veridicità delle informazioni riportate sulle etichette. C’è poi il Fairtrade Textile Standard, con focus sui diritti dei lavoratori. Ricalca il regolamento del Lavoro Dipendente e aiuta a identificare le aziende che pongono maggiormente l’attenzione su adeguamenti salariali, tutele sindacali e benessere.

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Certificare la sostenibilità

Il sistema Oeko-Tex è articolato, diviso nelle certificazioni Standard 100, STePa e Made in Green.

  • La prima assicura il consumatore che nelle fibre non siano contenute sostanze tossiche e lo fa seguendo un criterio di priorità. Indumenti e accessori appartenenti alla categoria 1, ad esempio, sono quelli che impongono soglie di attenzione altissime, poiché a stretto contatto con il corpo o destinati a bambini e neonati.
  • STeP, come suggerisce l’acronimo Sustainable Textile Production, garantisce la sostenibilità umana e ambientale.
  • L’ultima, invece, segnala le aziende che operano seguendo rigidi criteri di sicurezza e adottano metodi di produzione a basso impatto.

L’Associazione Tessile e Salute, invece, svolge funzione di bussola per i consumatori, grazie a un network molto esteso, collaborazioni con istituzioni governative e aziende sanitarie. Obiettivo ambizioso è la creazione di un Osservatorio Nazionale Tessile, che tuteli abbigliamento, pelle e calzature a marchio Made in Italy.

La (vera) moda green

Ci sono poi organizzazioni che focalizzano l’attenzione sulla riduzione consapevole di rifiuti grazie a una più stabile e integrata reimmissione di alcuni dei materiali nel ciclo produttivo. Come Cradle to Cradle. O Global Recycle Standard, aggregatore di aziende che impegnano materiale riciclato con catene di upcycling o riciclaggio. Altre associazioni, poi, pongono l’accento sulla tracciabilità delle materie utilizzate, come Ecocert, che amplia il raggio d’azione anche all’industria cosmetica e a quella agroalimentare. O certificazioni alla ecologicità dei tessili, come Naturtextil, che opera per ridurre la presenza di fibre come l’elastane o l’utilizzo di sbiancanti ottici per il trattamento dei vestiti.

Eco è (anche) etico

Dello stesso avviso è Eu-Ecolabel, certificazione rilasciata dalla Commissione Europea che seleziona per i consumatori solo prodotti ecocompatibili, e GOTS (Global Organic Textile Standard), organo in costante crescita che garantisce la selezione secondo criteri di alta sostenibilità sociale e ambientale. Get It Fair®, infine, è un sistema molto complesso pensato per affiancare e sostenere le aziende che intendono migliorare la propria reputation adattandosi a sistemi produttivi più “gentili” e trasparenti, come l’etichetta etica. In un meccanismo virtuoso definito di responsible sourcing, sostiene lo sviluppo o la conversione delle filiere di calzaturifici, aziende tessili e imprese che producono accessori. L’osservatorio di Get It Fair® non tralascia alcun aspetto: dalle condizioni contrattuali dei dipendenti e la loro sicurezza, per arrivare alla salubrità dei luoghi di lavoro e, naturalmente, alla valutazione del “peso” ambientale delle aziende. Il lavoro di queste associazioni e gli standard che promuovono sono necessari per definire e costruire, passo dopo passo e lontano da ogni retorica, un sistema produttivo retto da equilibri di sostenibilità. Qualità del lavoro e incidenza sull’ambiente diventano le spie che possono mettere in allarme. Criteri che aiutano i consumatori a fare una media ponderata, per individuare meglio le aziende virtuose e distinguerle da quelle che lanciano solo slogan. Del resto, ci aveva già pensato il Fashion Transparency Index a definire delle linee guida per capire a fondo il coefficiente di sostenibilità di ciascuna azienda. Ambiente e umanità: ecco i due elementi che ci fanno comprendere quale sarà il nuovo e auspicabile volto della moda.

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