Montagna e riscaldamento globale, quanto sappiamo di questa relazione pericolosa?
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Montagna e riscaldamento globale, quanto sappiamo di questa relazione pericolosa?

In tutto il mondo gli ambienti in alta quota reagiscono al riscaldamento globale in anticipo e più velocemente, con conseguenze drammatiche non solo sulle comunità montane, ma sull'intera popolazione globale. Qual è il ruolo dei media e della cultura per comunicare al meglio questa relazione pericolosa?

Se i ghiacciai, con il loro arretramento, sono una sorta di termometro naturale per quell'infezione globale chiamata cambiamento climatico, la montagna può essere considerata il paziente zero. Secondo il Mountain Research Initiative Working Group, un team di ricerca che comprende scienziati di Italia, Austria, Canada, Cina, Ecuador, Gran Bretagna, Kazakistan, Pakistan, Svizzera e Usa, infatti, gli ambienti di alta quota in tutto il mondo si riscaldano in anticipo e più velocemente.

Ha sottolineato Thomas Hofer, Coordinatore del Segretariato della Mountain Partnership della FAO, in occasione della scorsa Giornata Internazionale della Montagna: “Pur avendo il minore impatto ambientale al mondo, le popolazioni montane sono le prime a pagare per le conseguenze negative del cambiamento climatico: minori nevicate si traducono in drastiche riduzioni della portata dei fiumi che forniscono ai contadini l’acqua per l’irrigazione. Temperature mediamente più alte consentono la propagazione di parassiti e malattie ad altitudini a cui prima non potevano proliferare. La perdita di raccolti e bestiame costituisce una realtà sempre più diffusa. Inoltre, la frequenza di slavine, valanghe, frane e inondazioni dovute allo scioglimento dei laghi glaciali è in aumento”.

 

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Tutto ciò a dispetto della tradizionale resilienza delle comunità montane, abituate da sempre ad adattare le loro tecniche agricoli tanto alle variazioni stagionali in ambito climatico, quanto alle difficoltà relative ad altitudini e condizioni di conformazione territoriale avversa. E a discapito dell'intera umanità: le montagne, riserve d’acqua dolce del nostro pianeta, forniscono tra il 60 e l’80% dell’acqua utilizzata per il consumo domestico, agricolo e industriale mondiale. Inoltre, in montagna si concentra il 25% della biodiversità terrestre.

A posteriori dell'anno più caldo di sempre, si rafforza dunque la necessità di informare la collettività andando a costruire un immaginario quanto più possibile completo e corretto, sensibilizzando al contempo l'opinione pubblica su criticità, relative conseguenze e possibili antidoti. Il tutto con una comunicazione che punta ad essere sempre più mainstream: emblematico è stato il discorso di Leonardo Di Caprio sul surriscaldamento climatico alla notte degli Oscar 2016, mentre anche in Italia da più parti e in più contesti il settore artistico-culturale offre spazi e tempi in cui approfondire tali concetti di interesse comune.

Si pensi all'approdo di queste tematiche nel palinsesto televisivo di prima serata con il programma di Luca Mercalli “Scala Mercalli” (il focus della prima puntata, lo scorso gennaio, è stato proprio su riscaldamento globale, clima e impatto sugli ecosistemi), o ai festival cinematografico-letterari dedicati alla relazione fra ambiente e montagna (la rassegna torinese “In cordata” è un esempio fra tutti). Con il supporto di dati, questo tipo di comunicazione, più accessibile e resa appetibile da un linguaggio che non trascura di rivolgersi alla sfera emozionale, può offrire l'approccio a 360 gradi necessario a un coinvolgimento più ampio e completo di pubblico. Aiutando a comprendere, ad esempio, come e perché la tutela degli ecosistemi montani è direttamente collegata ad approvvigionamento idrico, rischio idrogeologico, diritti umani, sicurezza e sovranità alimentare: a ogni quota, e in tutto il pianeta.

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