Le interviste del Direttore: Alberto Gaiga
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Le interviste del Direttore: Alberto Gaiga

Intervista ad Alberto Gaiga, Founder e CEO di Intesys.

Nonsoloambiente.it si pone da sempre come obiettivo quello di fornire un’informazione chiara e contestualizzata su primari argomenti di attualità che abbiano ricadute dirette o indirette sull'ambiente. In tal senso – ogni martedì – Maria Grazia Persico intervisterà le prime linee di aziende direttamente coinvolte nel tema che desideriamo approfondire.

Negli ultimi tempi la tecnologia è diventata oggetto di grande attenzione in documenti programmatici, nonchè chiave di lettura per interpretare fenomeni anche di carattere economico. Nelle Linee guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, infatti, la “Modernizzazione del Paese” rientra tra le tre linee strategiche (oltre a Transizione ecologica, Inclusione sociale e territoriale, parità di genere) su cui il Governo intende basare la propria attività nei prossimi mesi. Da un’indagine dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) dedicata agli "Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi" è emerso che nel periodo 2018-2019 il 33,8% delle famiglie non ha un computer o tablet in casa e che al Sud il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa (rispetto a una media di circa il 30% nelle altre aree del Paese). Alla luce di questi dati, ritiene che l’Italia sia comunque pronta per diventare un Paese “completamente digitale” o è mera utopia?
Si, senza dubbio: l’Italia diventerà sicuramente un Paese completamente digitale, non vedo altra possibilità. L’alternativa è diventare degli esclusi digitali, condannati a sparire o peggio ad essere colonizzati – digitalmente – da altri. Quindi si, l’Italia diventerà completamente digitale anche se non sarà tra le prime in UE, speriamo non l’ultima. La vera domanda oggi, a parer mio, però dovrebbe essere: “Cosa frena e quali sono i passi da fare per diventare un Paese pienamente digitalizzato?”, ma c’è anche una seconda domanda: “Cosa accadrà della competitività, dell’attrattività, dell’economia dell’Italia nel periodo che va da oggi al giorno in cui saremo un paese digitalizzato?”. Mentre la prima domanda riguarda il “come fare”, la seconda riguarda il “quanto tempo abbiamo”: secondo me è ora di agire; agire con grande decisione, con maggior coraggio e tanta nuova competenza, non dobbiamo attendere.

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Una scarsa digitalizzazione del Paese si evince anche dal “Referto in materia di informatica pubblica”, presentato dalla Corte dei Conti lo scorso 26 novembre 2019. Nel documento si sottolinea il “giano bifronte” che caratterizza il nostro Paese: secondo quanto emerso dal Digital Economic and Society Index (DESI) in Italia nel 2016-2017, sebbene vi fosse una sufficiente disponibilità di servizi pubblici digitali (58%), soltanto il 22 per cento dei cittadini interagisse online con la Pubblica Amministrazione, Lei come si spiega questo fenomeno e a cosa è dovuto a: pigrizia, paura o diffidenza nei confronti delle nuove tecnologie? Ritiene che sia cambiato qualcosa negli ultimi tempi?
Il DESI 2020 conferma la situazione ed anzi fa emergere un quadro allarmante: l’indice relativo a “Capitale umano” vede l’Italia al 28° posto su 29 con un punteggio di 32,5 rispetto al 49,3 della media europea, una distanza abissale. L’indice percentuale degli individui “In possesso perlomeno di competenze digitali di base” vede l’Italia al 42% rispetto al 58% della media europea. È la mancanza di competenze digitali di base, a parer mio, ad ostacolare fortemente l’adozione e l’uso dei servizi pubblici digitali (SPID, Carta di identità elettronica, PagoPA, Fascicolo Sanitario, Fattura Elettronica … per citarne alcuni).

Però se da un lato la bassa adozione degli strumenti digitali è causata dalla carenza di competenze, dall’altro collocherei il freno causato da due fattori culturali tipicamente italiani. Primo: la naturale propensione latina al rapporto umano, soprattutto quando si deve risolvere un problema; secondo: la difficoltà o talvolta la pigrizia ad uscire dalla zona di comfort delle nostre piccole sicurezze, del “abbiamo sempre fatto così”, che ci impediscono di sperimentare comportamenti, strumenti e interazioni nuove e moderne.

In un’epoca incentrata sulla diffusione di dati ed informazioni in tempo reale, emblematico è il proliferare di strumenti che consentono il passaggio di informazioni di qualsiasi genere in pochi minuti (a volte anche di secondi). Numerosi sono gli interventi del Garante per la protezione dei dati personali negli ultimi anni. Ritiene che venga attribuita al “dato” che circola la giusta importanza? E’ davvero possibile conciliare sicurezza e tecnologia?
Viviamo nell’economia dell’informazione, del “dato” che è diventato il nuovo petrolio su cui le “big five” di Internet (Facebook, Apple, Amazon, Alphabet meglio nota come Google, Microsoft) stanno costruendo il loro immenso valore sotto forma di guadagno e potere. È un’economia costruita sui tanti piccolo “granelli” ovvero i dati generati dai singoli che, uniti tutti assieme, generano un grande valore come una ricchezza milionaria costruita con monetine da un centesimo.

Gli utenti, in generale, hanno ormai raggiunto una buona percezione che i loro dati valgono per la “massa critica” che tutti assieme possono generare, ma il tornaconto personale li vede spesso barattati o ceduti al miglior offerente in cambio di qualche servizio online. Ed ecco che regaliamo ad altri il tessuto delle nostre relazioni (amicizie e foto caricate su Instagram, Facebook), le nostre preferenze d’acquisto (Amazon), le nostre emozioni (interazione con TikTok), il nostro stato di salute (il tracciato GPS ed il battito cardiaco della nostra ultima attività sportiva caricata online). La grande sfida non è più conciliare sicurezza e tecnologia, ma diventa formare e tutelare le persone rendendole coscienti di quanto è prezioso ogni singolo dato, ogni singolo centesimo.

Quello delle fake news è un fenomeno che ha una portata “universale” visto che è in grado di influenzare anche processi decisionali istituzionali. Secondo Lei, quali possono essere validi strumenti per arginare un fenomeno del genere in un’epoca in cui spesso viene data priorità alla velocità piuttosto che al “contenuto”?
Per quanti non avessero ancora visto il film “The Great Hack” il suggerimento è di correre a vederlo per un fondamentale aggiornamento, anche se il film è del 2018 (è disponibile in streaming – NdR). Un film rivoluzionario se il focus diventa una semplice domanda: “Qual è la verità?” a cui aggiungerei “Come farsi un’idea quanto più possibile vicina alla verità?”. Anche prima di Internet, conoscere la verità richiedeva molta ricerca, tempo e fonti attendibili; figurarsi oggi con l’incredibile volume di informazioni disponibili in rete: è diventata un’impresa impossibile, senza contare poi le notizie verosimili, immaginate, inventate, distorte se non addirittura costruite ad arte … fake news insomma.

Non esistono – che io sappia – strumenti o semplici metodi per marcare una notizia come fake news. Posso dire – con semplicità – come faccio io: prima di tutto cerco di informarmi su poche fonti che ritengo credibili, per il resto in genere vado a buon senso facendo scattare l’allarme quando qualcosa “mi pare strano”. Talvolta faccio una verifica sui siti web specializzati in bufale ma, molto più spesso, faccio un po’ di ricerche per mettere a fuoco la notizia data da più fonti. Alla fine, ciò di cui son certo, è che ormai leggo con un po’ di scetticismo e una minima incertezza da autoprotezione … ma soprattutto leggo ricordando con invidia mio nonno e mio padre: acquistavano ogni giorno il quotidiano, sempre lo stesso, nella sana certezza che quello che leggevano fosse scritto con professionalità, fosse molto vicino alla verità; e per loro era quasi una Bibbia.

ALBERTO GAIGA 093

 

Imprenditore, Advisor e Board Member di comprovata esperienza e autorevolezza in materia di modernizzazione e Trasformazione Digitale del business aziendale. Ha ricevuto incarichi di rappresentanza e promozione dello sviluppo in associazioni di categoria datoriali, dove ha ricoperto ruoli apicali con cariche statutarie. Ha promosso il rinnovamento digitale di processi e dinamiche produttive e commerciali nei più diversi settori industriali e della produzione di servizi. Il tratto distintivo che caratterizza i suoi interventi è la capacità di utilizzare la leva digitale, nei suoi molteplici aspetti, per creare nuovo e maggior valore per l’impresa e per il contesto in cui essa opera.

 

 

 

 

 

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