Un recente studio evidenzia che le cinque maggiori multinazionali del cibo emettono, su scala globale, delle quantità di anidride carbonica superiori rispetto ad alcuni colossi dell’energia. Insomma, oggi carne e latticini fanno più danno del petrolio.
Uno studio intitolato Emissions impossible – How big meat and dairy are heating up the planet, condotto dall’IAPT, l’Institute for Agricolture and Trade Policy, ente promotore della sostenibilità nel commercio e nell’agricoltura, e dalla ONG Grain ha dimostrato che nel mondo di oggi, a differenza di quanto si possa superficialmente pensare, il settore petroliferonon è il più impattante a livello ambientale.
Dal rapporto è infatti emerso che sono le cinque maggiori compagnie produttrici di carne e latticini a livello mondiale i maggiori responsabili delle emissioni di CO2. Secondo l’indagine la quantità di anidride carbonica emessa dalle aziende incriminate supera di netto il valore imputabile all’industria energetica e del petrolio.
I numeri risultanti dal rapporto sono impressionanti: l’ammontare di CO2 prodotta annualmente da ciascuna di queste compagnie alimentari supererebbe addirittura le quantità di cui sono responsabili intere nazioni quali la Germania, il Canada o l’Australia.
A rendere ancora più grave la situazione è il fatto che soltanto un’infinitesima parte delle aziende alimentari coinvolte dichiara pubblicamente i dati relativi alle emissioni di gas serra di cui sono responsabili. Rifacendosi allora alla celebre massima secondo la quale a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si indovina, viene da chiedersi perché la stragrande maggioranza delle aziende finite sotto la lente d’ingrandimento tenga celati i propri dati.
Alla luce di questi dati verrebbe da dire che quello in cui stiamo vivendo oggi è un mondo spaccato a metà. Da una parte abbiamo interi paesi, governi, imprese e singoli cittadini che si impegnano quotidianamente per cercare di rispettare gli accordi internazionali in tema di inquinamento e clima. Soggetti che investono per ridurre l’impatto della mobilità e dell’edilizia per esempio, che promuovono l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, il passaggio a un’economia sempre più circolare e il taglio degli sprechi. L’altra parte invece è caratterizzata da politiche governative e aziendali assolutamente anacronistiche, dove compagnie e grandi gruppi continuano imperterriti a investire sui combustibili fossili senza per altro rendicontare su quale sia il loro reale impatto sull’ambiente.
Per fare in modo che le battaglie che molti, grandi e piccoli, combattono ogni giorno, alcune abitudini devono cambiare. Per fare in modo di riuscire a contenere l’innalzamento globale delle temperature entro quel grado e mezzo che fa sempre più paura, devono essere prese ulteriori precauzioni e messi in atto altri più sostanziali cambiamenti.
Oggi non basta più promuovere la circolarità dell’economia, la riduzione degli sprechi e la cultura del riuso e del riciclo ma diventa necessario anche comprendere che la dieta di alcune popolazioni non è più sostenibile. Occorre educare le persone alla riduzione dei consumi di carne laddove non siano necessari, a prendere le distanze da tutti quei prodotti provenienti dall’industria degli allevamenti intensivi e favorire il consumo di prodotti locali, per il bene del singolo e dell’intero pianeta.