Gestione delle acque meteoriche di dilavamento e responsabilità penale
Ambiente

Gestione delle acque meteoriche di dilavamento e responsabilità penale

in collaborazione con logo ASLA

Prosegue la rubrica in collaborazione con ASLA, Associazione degli Studi Legali Associati, presieduta dall’Avvocato Giovanni Lega, Fondatore e Managing Partner di LCA Studio Legale. La rubrica avrà ad oggetto il commento delle più importanti sentenze in materia ambientale da parte di alcuni Studi Associati aderenti ad ASLA.

Il contributo di oggi è stato fornito dall'Avvocato Luca Tronconi dello Studio Legale B&P Avvocati.

La Cassazione torna sulla (tormentata) distinzione tra acque meteoriche di dilavamento e acque reflue industriali, confermando un orientamento giurisprudenziale che non trova tutti d’accordo.

Con sentenza del 23 marzo 2021, n. 11128, la Cassazione si è confrontata nuovamente con un tema alquanto controverso in materia di acque: l’equiparabilità delle acque meteoriche di dilavamento, a determinate condizioni, alle acque reflue industriali.

Il caso analizzato riguardava l’omessa presentazione da parte dell’amministratore di una Società operante nella vendita di carburanti del Piano di gestione delle acque meteoriche richiesto dalla normativa piemontese, scaricando al contempo, a detta del giudice di prime cure, nuovi scarichi di reflui industriali. Per queste ragioni, l’imputato veniva condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 137 del Testo Unico Ambientale, commi 1 (che punisce “chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione”) e 9 (che punisce “Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 3”). Ricorrendo per Cassazione, l’imputato contestava l’erronea applicazione della normativa di settore: segnatamente, riteneva che le acque di dilavamento e di prima pioggia di cui si discuteva nel caso di specie non fossero assimilabili alle acque reflue industriali e che, conseguentemente, sarebbe stato corretto contestare al più l’illecito – amministrativo – di cui all’art. 133 (che punisce l’inottemperanza alla disciplina regionale di cui all’art. 113, comma 1, lett. b) del medesimo Testo Unico Ambientale).

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La questione sembra banale: si possono considerare le acque originate da una precipitazione atmosferica come “industriali”? E lo sarebbe davvero, se solo la legge fosse – come dovrebbe – chiara, determinata e precisa. Tuttavia, la mancata previsione di un’esplicita definizione di “acque meteoriche di dilavamento”, la confusa formulazione di alcune disposizioni normative e alcuni interventi legislativi alquanto disarmonici hanno portato ad una grave incertezza interpretativa.

La sentenza in commento mette in luce queste criticità e ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali che, nel tempo, hanno cercato di rispondere al quesito riproposto all’attenzione della Corte. Per sintetizzare, va detto che il punto di partenza è la precedente formulazione dell’art. 74, lett. h d.lgs. n. 152/2006, che definiva le acque reflue industriali come “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque […] meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”. Questa disposizione faceva capire dunque che dovessero essere escluse dalla nozione di “acque reflue industriali” sia le meteoriche non contaminate, sia quelle contaminate da sostanze non connesse con le attività esercitate dallo stabilimento. Questa interpretazione era stata fatta propria dalla Cassazione.

Nel 2008 venne però modificata la definizione appena richiamata: in particolare, venne eliminata la specificazione secondo cui avrebbero dovuto intendersi come meteoriche anche le acque venute in contatto con le sostanze non connesse con le attività esercitate. Questa eliminazione venne interpretata da dottrina pressoché unanime come l’intenzione del Legislatore di non assimilare mai le acque meteoriche alle acque industriali (la nuova formulazione pareva chiara: "acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate […] diverse […] dalle acque meteoriche di dilavamento”).

La Cassazione, tuttavia, per diversi anni continuò ad applicare l’orientamento ante riforma, secondo cui le acque meteoriche contaminate con sostanze connesse con le attività esercitate in stabilimento devono essere considerate come reflui industriali: circostanza che portò molti interpreti a ritenere che la Corte non volesse prendere atto della modifica legislativa medio tempore intervenuta. Fu con la sentenza Pieri (Cass. Pen., sent. n. 258378/2014) che la Cassazione “prese atto” della modifica, mutando il suo orientamento precedente. A distanza di un anno, tuttavia, con la sentenza Mele (Cass. Pen., sent. n. 263173/2015), la medesima Corte ritornò sui suoi passi, ritenendo che la modifica del 2008 non avrebbe affatto escluso l’equiparazione tra le meteoriche e i reflui industriali, ma per di più avrebbe ristretto la prima nozione: in altre parole, secondo la Corte, solo le meteoriche non contaminate possono essere considerate come tali. Quest’ultimo orientamento, alquanto rigido, è ripreso anche nella sentenza in commento, che quindi riconferma un filone interpretativo rimasto pressoché sempre immutato, fatta eccezione per la sentenza Pieri.

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