Agricoltura sostenibile: 5 start up premiate da UNIDO e CNR a Expo 2015

Agricoltura sostenibile: 5 start up premiate da UNIDO e CNR a Expo 2015

Il riconoscimento assegnato a progetti tecnologicamente innovativi per il settore dell’agribusiness e con ricadute positive per i Paesi in via di sviluppo.

Nuove tecniche di coltivazione e allevamento a basso impatto ambientale, tecnologie per la conservazione del cibo e sistemi di riutilizzo degli scarti alimentari. Queste le tematiche al centro dei progetti premiati da UNIDO Italia e Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito di "Sustainable Technologies and Cooperation in Food and Agriculture & UNIDO International Award 2015", ospitato da Expo Milano 2015.

L’evento, organizzato dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, rientra tra le iniziative internazionali per il raggiungimento dell’obiettivo Sfida Fame Zero (Zero Hunger Challenge), presentato nel 2012 e rilanciato dall’Onu proprio in occasione di Expo. In questo caso, il focus era dedicato al contributo delle nuove tecnologie al settore primario, nella convinzione che un’agricoltura più efficiente e sostenibile potrà contribuire significativamente a “Nutrire il Pianeta”.

La giuria presieduta da Diana Battaggia, Direttrice di UNIDO ITPO Italia, ha selezionato cinque vincitori tra le oltre 150 proposte provenienti da 30 Paesi di tutto il mondo. Progetti innovativi nei settori dell’agricoltura, della gestione sostenibile delle risorse naturali e della riduzione degli sprechi alimentari, in grado di portare effettivi miglioramenti sul piano economico e sociale nei Paesi in via di sviluppo.

 

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Tra i vincitori c’è il progetto Foodwa, elaborato da Solwa srl, che consente di essiccare in maniera sicura, igienica e veloce le biomasse alimentari (frutta, verdura, pesce e carne). Interamente alimentato a energia solare, Foodwa consente di migliorare la conservazione di questo tipo di alimenti e risulta utile in un’ottica di commercializzazione o estrazione di olii essenziali da utilizzare nell’industria chimica e cosmetica.

Jellyfish Barge (Pnat - Università di Firenze) è invece una serra modulare galleggiante, alimentata a energie rinnovabili, in grado di produrre alimenti senza consumo di suolo e acqua dolce. Già finalista del premio mondiale delle Nazioni Unite UNECE Ideas for Change Award, questo sistema di coltivazione idroponica garantisce un risparmio del 70% di acqua rispetto alle colture tradizionali, grazie ad un processo di riciclo e trattamento.

Rappresenta un ponte tra Africa e Italia il premio assegnato a André Ndereyimana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Il ricercatore - originario del Burundi e da anni nel nostro paese – ha ottenuto il riconoscimento per BUSLIN, una start up dedicata allo sviluppo di una rete di piccoli allevatori nell’Africa sub-sahariana. Un’area dove circa il 70% della popolazione soffre ancora di malnutrizione. Il progetto premiato punta a sviluppare una catena agroalimentare specializzata nella produzione, trasformazione e commercializzazione di alimenti di origine animale, coinvolgendo piccoli allevamenti familiari. “Il nostro obiettivo per il futuro – spiega Ndereyimana - è ridurre le carenze proteiche nella popolazione del mio Paese, quindi la malnutrizione dei bambini, delle mamme allattanti e anche di quelle gravide, tramite l’offerta di alimenti trasformati e che rispettino gli standard di qualità nutrizionale, sensoriale e igienico-sanitaria”.

L’ingegnere indiano Nikhil Bohra è risultato vincitore nella categoria “Under 35″ con la start up agroalimentare Cattle Mettle. Partendo dal prodotto dell’albero Mesquite - specie molto diffusa in India e altri paesi aridi - il ricercatore ha infatti creato un nuovo tipo di foraggio di qualità e a basso costo. Un’invenzione che potrebbe avere un impatto importante nell’economia rurale in molti Paesi in via di sviluppo.

Infine, per la categoria “Donne” è stata premiata Rosa Palmeri dell’Università di Catania, con un progetto interamente dedicato al fico d’india. Grazie a un processo di lavorazione innovativo, questo frutto – di solito altamente deperibile - potrà essere conservato fino a oltre 12 mesi, mantenendo intatte le caratteristiche organolettiche. Inoltre, gli scarti di lavorazione (semi, bucce ecc) saranno recuperati per uso umano ed animale, contribuendo alla sostenibilità del prodotto.

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