L’importanza di conoscere le api: intervista a Giorgio Poeta
Sostenibilità

L’importanza di conoscere le api: intervista a Giorgio Poeta

Il giovane apicoltore marchigiano è il simbolo di un modo di fare impresa in modo sostenibile; informare e sensibilizzare su tematiche ambientali diventa una chiave etica per creare prodotti di qualità. Sin dagli anni Novanta del secolo scorso, scienziati e apicoltori stanno denunciando l’aumento di mortalità delle api e degli altri insetti impollinatori, motivandolo con uno squilibrio tra il modello di produzione agricola attuale, incentrato sulla contaminazione del vivente tramite l’ausilio di sostanze chimiche attive, e le esigenze della biodiversità all’interno dei cicli naturali degli ecosistemi. L’approccio sempre più meccanico e orientato alla monocultura, deriva dalla volontà industriale di incrementare le capacità produttive in maniera sempre più efficiente, ma esistono storie di successo che non guardano tanto i numeri, quanto la qualità delle relazioni e del rapporto con l’ambiente.

Giorgio Poeta, apicoltore marchigiano classe ’84, è riuscito a far arrivare il proprio miele nei ristoranti più prestigiosi del mondo grazie alla sincera umanità del suo approccio, volto a far conoscere le api e l’importante processo di cui sono protagoniste. E proprio le api potrebbero giocare un ruolo chiave per il futuro dello sviluppo rurale, diventando termometri di sostenibilità in grado di dettare le linee guida dell’agricoltura amica dell’ambiente.

 

Iniziamo col parlare un po’ di te. Cosa rende unici i tuoi prodotti?

“Negli ultimi anni ho cercato sempre di più di focalizzare l’attenzione non sul miele ma su chi veramente lo produce, le api, e sull’ambiente sano che le circonda. Questa è una cosa che non fa mai nessuno perché tutto è sempre concentrato sul prodotto. È vero che gli utili sono importanti, ma desidero crearli mettendo le api al centro del discorso, mostrando immagini naturali che consentano di innamorarsi di loro, facendo scoprire cosa succede dentro la cassetta, cosa che nessuno conosce. È questo il valore aggiunto: spendere tempo ed energie per comunicare. Non comunicare il marchio e il prodotto, ma comunicare cosa viene fatto e come viene fatto. Per questo è fondamentale creare un team: me, le persone che mi aiutano e le api, sempre cercando di ragionare a 360° gradi”.

 

Il processo di produzione è sempre importante per l’impatto che può avere sull’ambiente. Quando un miele può definirsi davvero sostenibile?

“Assicurandosi che tutte le attività di allevamento del lotto siano state fatte nel massimo rispetto della freschezza. Non devono esserci alimentazioni forzate dell’ape ma vanno rispettati i cicli dell’ape stessa. Si cerca di stressarla al minimo, di farla vivere in ambienti salubri, tenendola lontana da strutture intensive o da fiori su cui si effettuano trattamenti. Naturalmente tutto ciò avviene a discapito della quantità”.

 

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A oggi un quinto degli invertebrati sono a rischio estinzione a causa di perdite di habitat naturali, sviluppo di infrastrutture e specie aliene invasive. La produzione si basa sempre più sul mito dell’incremento delle capacità produttive e, secondo il monitoraggio nazionale pollini 2010-2015, più del 55% dei campioni è contaminato da almeno un pesticida con più di 10 molecole chimiche tossiche. Francesco Panella (Presidente Unaapi) ha proposto di usare la produttività e la sopravvivenza delle api mellifere come termometro di sostenibilità da inserire nei piani di sviluppo rurale, così che l’agricoltura sarà sostenibile quando le api dimostreranno di poter vivere e produrre. Qual è la tua opinione?

“Sono completamente d’accordo con quanto afferma Panella. L’ape è un bioindicatore ambientale di prim’ordine, il bioindicatore ambientale per eccellenza. Purtroppo oggi l’agricoltura non viene minimamente considerata dal punto di vista zootecnico, chi lavora nel settore è sempre l’ultima ruota del carro per gli interventi legislativi. Forse è banale ricordarlo, ma i poteri forti sono le aziende di fitofarmaci: loro sono i ricchi e noi i poveri, e per questo non avremo mai voce in capitolo se non attraverso la nascita di una coscienza critica da parte dei cittadini in prima persona. Non bisogna più nascondersi, giustificarsi additando la presenza delle lobby. Se ogni individuo iniziasse a rispondere in modo esigente, richiedendo prodotti davvero sani, a quel punto il mercato dovrebbe cambiare per rispondere”.

 

Chiudiamo con una nota di gusto. Sei stato il primo a creare il miele in barrique. Torniamo al momento in cui è sorta la prima illuminazione. Cosa stavi facendo? Qual era l’obiettivo?

“L’idea mi è venuta una sera a cena con mio fratello, Mario D’Alessio e Leopardo Felici, un produttore di Verdicchio. A un tratto Leopardo si rivolge a Mario e gli dice: ‘sai che ho avuto un’idea? Inizierò a innovare il Verdicchio nelle barrique’. Si trattava di un processo inusuale per il Verdicchio, e io sono intervenuto nella conversazione: ‘Leopardo, se tu ci metti il Verdicchio io ci metto il miele’. In principio è stata una specie di battuta, ma tutte le battute hanno una mezza verità e, dal momento che volevo fortemente differenziarmi, sono stato quasi costretto a fare una cosa del genere. Il mio obiettivo era cercare di capire quale fosse la chiave di volta per entrare nelle case, nel cuore delle persone. Per trasmettere loro l’emozione di un prodotto che mangi e diventa parte di te è fondamentale sapere come questo viene fatto, perché viene fatto. Il mio miele deve creare un’esperienza, questo è il focus della ricerca. Il momento dell’assaggio di un prodotto dev’essere la chiusura del cerchio, non il primo passaggio. Prima bisogna sentire il lavoro che c’è dietro, la fatica, i pensieri di chi lo produce, l’amore che si mette in quello che si fa. Così facendo quando si assaggerà il prodotto si saprà già che è fantastico”.

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