Siti contaminati: non solo le imprese, anche gli enti pubblici possono incorrere in responsabilità?
Ambiente

Siti contaminati: non solo le imprese, anche gli enti pubblici possono incorrere in responsabilità?

in collaborazione con logo ASLA

 

Responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni per contaminazione di un sito – possibilità – natura e presupposti.

Prosegue la rubrica in collaborazione con ASLA, Associazione degli Studi Legali Associati, presieduta dall’Avvocato Giovanni Lega, Fondatore e Managing Partner di LCA Studio Legale. La rubrica avrà ad oggetto il commento delle più importanti sentenze in materia ambientale da parte di alcuni Studi Associati aderenti ad ASLA.

Il contributo di oggi è stato fornito dall'Avvocato Claudio Vivani dello Studio Legale Merani Vivani  & Associati.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2020 n. 6349 si pronuncia su un tema estremamente importante e frequentemente ricorrente nella prassi, ma sorprendentemente poco trattato dalla giurisprudenza amministrativa: la possibilità di configurare una responsabilità della pubblica amministrazione per aver causato una contaminazione ambientale tramite il non corretto esercizio dei poteri amministrativi in materia autorizzatoria, di vigilanza, di controllo e di intervento d’ufficio, eventualmente in concorso con soggetti privati.

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A fronte di un orientamento che nega la stessa possibilità astratta di configurare un tal genere di responsabilità, la sentenza in oggetto non esclude affatto la configurabilità teorica di una responsabilità da illecito aquiliano, ai sensi dell’art. 2043 c.c., della pubblica amministrazione per l’inquinamento causato dal non corretto esercizio dei propri poteri, in particolare dalla carenza e dal ritardo di attività di messa in sicurezza e bonifica che sarebbero state di sua competenza. Anzi l’ammette implicitamente, anche se poi – in concreto – ritiene che non siano stati dimostrati gli elementi costitutivi della responsabilità stessa, in particolare il danno e la colpa. A quest’ultimo riguardo viene negata l’identificazione fra la colpa e il fatto puro e semplice del ritardo, in linea con l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa (si veda, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 3 maggio 2019, n. 2886).

Il Consiglio di Stato si occupa poi di una specifica e differente forma di responsabilità, quella configurata dal combinato disposto degli artt. 309, comma 1, e 310, comma 1, del D. Lgs. 152/2006 e s.m.i., ai sensi del quale vari soggetti, fra i quali “le persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale”, sono legittimati ad agire “per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale”.

La sentenza specifica, tuttavia, che si tratta di azioni aventi ad oggetto la tutela dell’interesse generale ambientale e non di azioni risarcitorie a tutela di singoli beni privati, negando – dunque – in relazione a tale ultima ipotesi, la legittimazione passiva del Ministro. Tale ultima precisazione potrebbe essere oggetto di ulteriori, interessanti approfondimenti, in relazione ai casi in cui il danno ambientale di fatto coincida, almeno in parte, con il pregiudizio a beni di titolarità individuale, caso che nella specie non ricorreva. Nel complesso, la pronuncia è di particolare interesse per gli operatori del diritto, sia nel campo civile, sia nel campo amministrativo, che si trovino ad affrontare situazioni di contaminazione ambientale, per una visione completa dei possibili profili di responsabilità dei vari soggetti coinvolti.

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