Biogas e biometano, un potenziale da sfruttare al meglio
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Biogas e biometano, un potenziale da sfruttare al meglio

 

Studi italiani ed europei hanno evidenziato il potenziale di biogas e del biometano in termini di politiche energetiche e ambientali. Cosa manca in Italia, terzo Paese produttore al mondo di biogas, per trasformare questa opportunità in realtà?

Obiettivi stringenti da raggiungere in ambito di energia e contenimento delle emissioni da un lato, una resistenza di fondo in campo legislativo ed economico ad abbandonare i sistemi di approvvigionamento tradizionali dall'altro.

Nell'ottica di un abbandono progressivo ed efficace delle fonti fossili, biogas e biometano promettono di essere due grandi opportunità. Ma cosa sono e quali vantaggi offrono dal punto di vista economico ed ambientale? Il biogas è una miscela di metano e anidride carbonica ottenuta dalla valorizzazione di prodotti e sottoprodotti di scarto della filiera agricola e agroindustriale. Il biometano è gas metano naturale e rinnovabile, derivato dal processo di purificazione (upgrading) del biogas.

“Il biometano è un elemento strategico sia sotto il profilo delle politiche energetiche che sotto quello ambientale” ha commentato Piero Gattoni, Presidente del Consorzio Italiano Biogas e Gassificazione (Cib), a margine degli Stati generali del Biogas tenutisi a Roma il 25 e il 26 febbraio scorsi. È prodotto dalla valorizzazione di risorse locali e possiede caratteristiche analoghe a quello di derivazione fossile che normalmente viene utilizzato, ad esempio, per riscaldamento, cucina e autotrazione.

Senza attività estrattive di sorta e a partire da un patrimonio, quello dei rifiuti nelle discariche o nei campi adibiti all'agricoltura, già accessibili e a disposizione. Così come a disposizione sarebbe la rete di distribuzione: “Uno dei principali punti di forza per la filiera biogas-biometano” spiega infatti il Cib illustrando i vantaggi del binomio “è che l’esistente infrastruttura di trasporto e distribuzione del gas naturale può essere utilizzata per la fornitura del biometano al consumatore finale, dove grazie alla sua flessibilità, il biometano può contribuire alla riduzione dei gas a effetto serra nei settori della produzione di elettricità, della produzione di calore e dei trasporti”.

 

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Eppure, come denuncia Legambiente- autore di una recente analisi, in vista del referendum del 17 aprile, sulle potenzialità di biogas e biometano in opposizione all'estrazione di gas dai mari italiani- l'approvazione di un decreto che dovrebbe permettere l'utilizzo allo scopo della rete Snam è bloccata da tempo.

Secondo fonti fornite dallo stesso Cib, alcuni studi attestano che a livello europeo “il potenziale disponibile di biomassa, inclusi i flussi di rifiuti, potrebbe consentire la produzione di 246 miliardi di metri cubi di biometano all’anno dei quali 143 miliardi di metri cubi/anno da matrici agricole. In Italia […] potrebbe essere realisticamente raggiunta una produzione di 8 miliardi di metri cubi di biometano all’anno nel 2020. Tale quantità è pari a circa la metà dell’attuale fabbisogno di metano di derivazione fossile”.

Attualmente, la filiera italiana del biogas è la terza più produttiva al mondo dopo Germania e Cina. Nel novembre 2015, sono strati autorizzati i primi 10 impianti di produzione e distribuzione del biometano per uso autotrazione all'interno dei confini nazionali: la concessione è avvenuta per mano del GSE, Gestore dei Servizi Energetici, grazie alle nuove direttive sui biocarburanti avanzati, che non entrano in competizione con la produzione alimentare e hanno dunque ricevuto il consenso dell'UE. A livello geografico, l'area più promettente per il biometano è il Centro-Nord, da cui provengono finora tutte le richieste di autorizzazione per nuovi impianti. Tuttavia, uno studio di Althesys, commissionato dal Cib, ha analizzato il potenziale dello sviluppo nel meridione italiano di biogas e biometano: stando ai risultati, nel 2030 il settore potrebbe creare investimenti per 3,8-5,6 miliardi di euro, 8mila posti di lavoro stabili e un incremento del Pil delle Regioni del Sud pari allo 0,3%.

I presupposti, dunque, non sembrano mancare, così come gli obiettivi cui tendere. Per svilupparli occorre, come spesso accade, un patto stringente e ragionato: una strategia combinata di base che, a partire dal ramo decisionale-legislativo, sblocchi una situazione in stallo e si dipani sui diversi territori facendo fruttare al meglio specifiche risorse e infrastrutture esistenti.

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