Oceani di plastica: a repentaglio gli ecosistemi marini
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Oceani di plastica: a repentaglio gli ecosistemi marini

Secondo le stime lanciate da un report del 2018 di WWF la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti in mare aperto, sui fondali e sulle spiagge del Mediterraneo.

L’inquinamento da materiali plastici, dai rifiuti più visibili come sacchetti e bottiglie a quelli più piccoli come le microplastiche, è uno dei temi che sta facendo più scalpore negli ultimi mesi. Tuttavia questa problematica non è recente: organizzazioni mondiali come WWF, Legambiente e Greenpace, per citarne alcune, ne parlano ormai da anni; soltanto nell’ultimo periodo anche i media stanno evidenziando il problema: ecco che così la morte per soffocamento di una piccola balena nelle Filippine fa il giro del mondo con un click e la foto che immortala il cavalluccio marino che stringe con la coda un cotton fioc diventa virale.

Fortunatamente si stanno facendo i primi passi per eliminare la plastica “inutile”: entro il 2021 il Parlamento Europeo ha dichiarato che saranno messi fuori commercio alcuni oggetti di uso comune tra cui cannucce, stoviglie monouso, cotton fioc che per il 70% costituiscono i rifiuti che soffocano gli ecosistemi marini.

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Secondo l’indagine Beach Litter 2018 condotta da Legambiente che ha monitorato 78 spiagge italiane, ogni 100 metri di spiaggia italiana ci sarebbero 620 rifiuti, di questi l’80% è plastica seguita da vetro/ceramica (7,4%), metallo (3,7%) e carta/cartone (3,4%).

La colpa non è solo delle persone che non mostrano il minimo rispetto per l’ambiente e la salute della flora marina e terrestre oltre che a quella per l’uomo, ma anche delle grandi multinazionali che dovrebbero farsi carico di ridurre gli imballaggi di plastica a favore di materiali biodegradabili. A questo proposito Greenpeace ha lanciato una petizione, sottoscritta da più di tre milioni di persone, in cui si chiede ai grandi produttori come Nestlè, Unilever, Coca-Cola, Pepsi, Ferrero, San Benedetto, Colgate, Danone, Johnson & Johnson e Mars di intraprendere una nuova strada che prevede l’abbandono totale della plastica monouso.

Greenpeace si schiera anche a difesa, e promuove, il rapporto del Ciel (Center for International Environmental Law) in cui viene evidenziato come: “Le materie plastiche presentano differenti rischi per la salute umana in ogni fase del loro ciclo di vita: dalle sostanze chimiche pericolose rilasciate durante l'estrazione del petrolio e la produzione delle materie prime, all'esposizione agli additivi chimici rilasciati durante l'utilizzo delle materie plastiche, per terminare con l'inquinamento dell'ambiente e del cibo che può derivare dal rilascio di plastica nell'ambiente”. Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, commenta quanto scritto nel rapporto, osservando che: “I rischi per la salute sono stati ignorati per troppo tempo, un atteggiamento che va contro le regole basilari della prevenzione che dovrebbero guidare le scelte istituzionali e delle multinazionali e venire prima dei profitti”. Nel rilevare che è necessario iniziare a eliminare definitivamente la plastica, a partire dall'usa e getta, Ungherese ricorda che "il ricorso a questo materiale, oltre a devastare il Pianeta, continua a mantenerci dipendenti dai combustibili fossili, contribuendo ai cambiamenti climatici”.

I dati e le centinaia di ricerche condotte sull’impatto della plastica negli oceani e mari che, oltre a colpire flora e fauna prima e l’uomo poi, non mentono: una seria crisi è in atto e sta mettendo a dura prova l’ecosistema. Oggigiorno negli oceani sono presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica, se non si interviene ora per arginare il fenomeno e cambiare rotta, domani sarà troppo tardi.

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