Le interferenze tra la normativa in materia di bonifica dei siti contaminati e quella in materia di rifiuti

Le interferenze tra la normativa in materia di bonifica dei siti contaminati e quella in materia di rifiuti

In collaborazione con logo ASLA-2 

Prosegue la rubrica in collaborazione con ASLA, Associazione degli Studi Legali Associati, presieduta dall’Avvocato Giovanni Lega, Fondatore e Managing Partner di LCA Studio Legale. La rubrica ha ad oggetto il commento delle più importanti sentenze in materia ambientale da parte di alcuni Studi Associati aderenti ad ASLA.

Il contributo di oggi è stato fornito dall’Avv. Luca Tronconi di B&P Avvocati

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 8546 del 23 dicembre 2021, ha affrontato il tema delle interferenze che, nella prassi, possono verificarsi tra la normativa in materia di rifiuti e quella in materia di bonifica dei siti contaminati. 

Il caso in esame riguarda un’area in provincia di Pescara su cui una importante azienda chimica aveva svolto in passato attività di produzione di pesticidi. L’attività produttiva cessò nel 1965 e l’area fu acquisita nel 1978 da una Società terza. Il Ministero dell’Ambiente, a seguito di una complessa istruttoria da cui era emersa una seria compromissione ambientale del suolo causata dalla produzione dei pesticidi, ordinò allora alla precedente proprietaria di bonificare l’area, chiedendo al contempo alla nuova proprietaria di demolire gli immobili sovrastanti che, di fatto, avrebbero intralciato le attività di risanamento ambientale. L’ordine è stato quindi impugnato dall’attuale proprietaria in quanto, a suo dire, la demolizione degli immobili presenti nell’area rappresenterebbe un’attività strettamente correlata con la bonifica del sito contaminato e che, quindi, spetterebbe soltanto al responsabile di tale contaminazione, non certo al proprietario incolpevole.  Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 8546/2021, ha rigettato le doglianze della Società appellante. Dopo aver ricordato che, in base al principio chi inquina paga, le attività di risanamento gravano unicamente sul responsabile dell’inquinamento (ferma, si intende, la facoltà del proprietario incolpevole di avviare spontaneamente il procedimento di bonifica), ha precisato la distinzione tra la normativa in materia di bonifica e quella in materia di rifiuti.

 

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In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato come le nozioni di inquinamento (“una situazione in cui, in via alternativa o cumulativa, si verifica un’accelerazione dei processi chimici inorganici ovvero un rallentamento dei processi chimici organici”) e di bonifica (il “processo tecnico con cui si elimina l’inquinamento”: si noti che le definizioni fornite nella sentenza non sono quelle di legge, bensì assunte dalla “comune esperienza nel settore della scienza ambientale”), seppur strettamente correlate con quella di rifiuto, sono in realtà ben distinte da quest’ultime: invero, è la stessa normativa di settore a demarcare nettamente gli ambiti applicativi delle due discipline (così l’art. art. 239, comma 2, lettera a), del d.lgs. 152/2006, ai sensi del quale la disciplina delle bonifiche non si applica “all'abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del […] decreto”). In ogni caso, precisa la sentenza, non è da escludere che talvolta vi possa essere un’interferenza tra le due discipline, come accade ad esempio quando i rifiuti abbandonati determinano al contempo una contaminazione delle matrici ambientali: circostanza, questa, presa in considerazione dallo stesso art. 239, ai sensi del quale “qualora, a seguito della rimozione […] dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell'area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale”.

Ebbene, secondo il Consiglio di Stato tale interferenza non è riscontrabile nel caso di specie, e pertanto le attività di demolizione degli edifici (nonché rimozione dei rifiuti inerti già presenti nell’area) e bonifica devono essere tenute tra loro distinte. Se è vero infatti che l’attività di demolizione “si pone in rapporto di causa-effetto con la bonifica delle aree”, ciò accade non perché essa rappresenti un’attività prodromica o funzionale al risultato da conseguire (e, cioè, il risanamento ambientale del sito), bensì perché gli edifici rappresentano un ostacolo alla stessa bonifica. Di conseguenza, gli “inerti e gli edifici sovrastanti il sito da mettere in sicurezza non [possono] rientrare tra gli elementi che avevano causato la contaminazione del suolo cui sono riferite le operazioni di bonifica” che, invece, incombono in capo alla responsabile della contaminazione: in conclusione, l’attività di demolizione non può che spettare all’attuale proprietario, sul quale grava infatti un dovere di garantire la sicurezza dell’area.

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