Supply chain e cambiamenti climatici: a rischio fornitori di Usa, Cina, Brasile e Italia
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Supply chain e cambiamenti climatici: a rischio fornitori di Usa, Cina, Brasile e Italia

Secondo il nuovo rapporto di CDP e Accenture, la mancanza di preparazione ad affrontare i cambiamenti climatici rende le supply chain di Cina, Italia, Stati Uniti e Brasile maggiormente esposte a rischi ambientali rispetto a quelle del resto dell'Europa e del Giappone.

Cina, Italia, Stati Uniti e Brasile sono le economie mondiali più vulnerabili in termini di supply chain. E' quanto emerge dal rapporto "Supply chain sustainability revealed: a country comparison" sull'impatto del cambiamento climatico sul business delle filiere di produzione, presentata dall'organizzazione internazionale no profit CDP, che incentiva lo sviluppo sostenibile dell'economia, e Accenture, azienda globale di consulenza direzionale.

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La nuova ricerca, che integra le informazioni del United Nations World Risk Report, si basa sull'analisi dei dati di 3.396 aziende fornitrici che lavorano per 66 realtà multinazionali, che spendono complessivamente ogni anno 1,3mila miliardi di dollari per gli approvvigionamenti.
Il rapporto mette in relazione livelli di rischio, sostenibilità e capacità di risposta, per poter capire meglio come i fornitori delle 11 principali economie globali operano per mitigare e gestire le questioni ambientali: prende in considerazione le strategie attuate dalle imprese in tema di emissioni di carbonio e iniziative di riduzione, rischi ambientali, impiego di energie rinnovabili, rischi relativi alle risorse idriche, mitigazione del cambiamento climatico e propensione alla cooperazione con i partner di filiera.

I fornitori di Francia, Regno Unito, Spagna e Germania sono i più sostenibili e adottano misure di vasta portata, malgrado un'esposizione relativamente bassa ai rischi ambientali. Tuttavia emerge anche una diminuzione progressiva negli anni dei fornitori tedeschi impegnati su indicatori chiave per il rapporto. Il Giappone è l'unico paese i cui fornitori sono ben preparati ad affrontare alti rischi legati al cambiamento climatico, grazie all'adozione di livelli avanzati di reporting delle emissioni.

Le supply chain più vulnerabili sono invece quelle di Cina, Italia e Stati Uniti. Denotano uno squilibrio fra l'alta esposizione ai rischi ambientali e le iniziative che i fornitori hanno intrapreso verso una maggiore sostenibilità, lasciando quindi ampi margini di miglioramento in queste aree geografiche.
Brasile, Canada e India devono concentrare i propri sforzi nella creazione di una supply chain sostenibile. I fornitori di questi Paesi sono infatti meno impegnati in iniziative di riduzione delle emissioni rispetto alla media globale. Un approccio collaborativo e l'alta profittabilità delle iniziative di riduzione delle emissioni, conferiscono tuttavia a Cina ed India un posizionamento molto competitivo.

Ci sono però alcuni incoraggianti segni di progresso globale: sempre più organizzazioni stanno valutando e rendicontando al fianco di CDP il proprio impatto ambientale. Il numero di 3.396 aziende che quest'anno ha preso parte al programma, è cresciuto di oltre il 40% negli ultimi tre anni.

"Il fatto che le multinazionali stiano collaborando con migliaia di fornitori allo scopo di gestire meglio le sfide e le opportunità ambientali è incoraggiante", dichiara Paul Simpson, Chief Executive Officer di CDP. Tuttavia, sottolinea Gary Hanifan, Managing Director di Accenture Strategy, preoccupa il fatto che, nonostante un incremento nel numero di aziende che valutano e rendicontano le emissioni, i fornitori mondiali "stiano facendo progressi solo marginali o nulli nello sviluppo di catene di fornitura sostenibili, capaci di resistere ai rischi del cambiamento climatico e ai disastri naturali".

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