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Il nuovo rapporto LE2C 2025 fotografa la diffusione di PFAS, farmaci e microplastiche nelle acque lombarde e indica la via per una gestione del rischio basata su dati, cooperazione e scienza
La Lombardia si guarda allo specchio e scopre che anche le sue acque più limpide raccontano una storia di contaminazioni invisibili. Il secondo rapporto del Lombardy Energy Cleantech Cluster sui microinquinanti emergenti, pubblicato nel settembre 2025, segna un passaggio decisivo: da tema accademico a questione gestionale e politica. L’indagine, frutto di sette anni di lavoro del Gruppo di Lavoro MIE, riunisce università, istituti di ricerca, imprese e gestori del servizio idrico in una rete che oggi rappresenta un modello di collaborazione per l’Italia e l’Europa.
Il documento aggiorna i dati sulla presenza di sostanze perfluoroalchiliche, residui farmaceutici, pesticidi e microplastiche nei corpi idrici lombardi. I numeri confermano che la contaminazione non è un episodio ma una condizione strutturale. I PFAS, noti come “forever chemicals”, vengono rilevati in quasi tutti i campioni di acqua superficiale e sotterranea. I farmaci, dagli analgesici agli antidepressivi, passano indenni attraverso i depuratori. Le microplastiche, misurate anche nei fanghi e nei sedimenti, restano ubiquitarie. La loro presenza, scrivono gli autori, “non mostra segni di riduzione significativa nonostante l’aumento delle attività di monitoraggio e la maggiore consapevolezza pubblica”. La novità del rapporto non sta solo nei dati ma nell’approccio. Gli esperti propongono un modello di gestione basato sul rischio, in cui il monitoraggio, la valutazione degli effetti e la scelta delle tecnologie di trattamento formano un unico ciclo operativo. L’obiettivo è passare dall’osservazione alla decisione, trasformando l’informazione scientifica in strumenti per la pianificazione regionale e per la tutela della salute. Il principio guida è quello di “One Health”: ambiente, ecosistemi e persone come parti di un unico sistema da proteggere.
Il lavoro dedica ampio spazio anche all’evoluzione normativa. Le nuove direttive europee sulle acque potabili e sui reflui urbani, insieme al regolamento sul riuso irriguo, impongono standard più severi e responsabilità estese per i produttori. La Lombardia si trova così in prima linea, costretta a coniugare sostenibilità ambientale e competitività industriale in un contesto che chiede misurazioni accurate, trasparenza e strategie di lungo periodo. Gli autori non nascondono le difficoltà. Mancano protocolli armonizzati di campionamento, i dati sono dispersi tra banche dati regionali e istituti di ricerca, e i costi delle tecnologie avanzate restano elevati. Ma il rapporto delinea anche prospettive concrete: uso integrato dei database europei, sperimentazione di soluzioni basate sulla natura, impiego dell’intelligenza artificiale per correlare sostanze e biodiversità. L’idea di fondo è che il monitoraggio non sia solo un esercizio tecnico ma una scelta politica.
L’ultimo capitolo guarda al futuro dei trattamenti. L’ozonizzazione, l’adsorbimento su carbone attivo e i sistemi a membrana garantiscono buoni risultati ma non bastano da soli. Ogni tecnologia, si legge, deve essere valutata in base all’intero ciclo di vita, considerando impatti energetici, produzione di residui e sostenibilità economica. Il report invita a un uso prudente e razionale degli strumenti avanzati, accompagnato da prove pilota e analisi LCA. Sul piano culturale, il documento assume toni quasi etici. Gli autori citano il concetto di “confini planetari”, ricordando che l’inquinamento chimico e plastico ha raggiunto una scala tale da minacciare l’equilibrio del pianeta. Da qui la necessità di un approccio globale che superi le competenze settoriali e intrecci scienza, governance e responsabilità sociale.
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