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Con la nuova direttiva UE sulle acque reflue urbane, gli Stati membri dovranno affrontare impegni economici e tecnologici senza precedenti. In Italia previsti investimenti fino a 1 miliardo l’anno e un aumento della bolletta del 2,3%.
La gestione delle acque reflue urbane è pronta a entrare in una nuova era. La Commissione Europea ha infatti presentato una direttiva che impone a tutti i Paesi membri obiettivi ambiziosi entro il 2045: migliorare la qualità dell’acqua, ridurre l’impatto ambientale e rendere energeticamente autosufficienti gli impianti di depurazione. Per raggiungerli, serviranno investimenti stimati in circa 4 miliardi di euro all’anno a livello comunitario. Una trasformazione radicale che avrà effetti tangibili anche per i cittadini italiani, chiamati a sostenere un incremento del 2,3% nelle tariffe idriche, come evidenziato dall’analisi di Ref Ricerche presentata durante la fiera Accadueo 2025. L’evento, che si è svolto dal 7 al 9 ottobre a BolognaFiere, ha riunito oltre 200 marchi del settore, 50 buyer internazionali e migliaia di operatori, confermandosi piattaforma di riferimento per il confronto sul futuro del servizio idrico. Al centro del dibattito, la complessa attuazione della nuova direttiva e le sue ripercussioni sul tessuto infrastrutturale ed economico italiano.
Secondo le stime, per il nostro Paese l’adeguamento comporterà un fabbisogno annuale compreso tra i 700 milioni e il miliardo di euro. Un impegno che nasce dall’estensione degli obblighi anche ai cosiddetti “agglomerati”, ovvero centri abitati con oltre 1.000 abitanti equivalenti, finora esclusi da stringenti normative. Le nuove regole prevedono inoltre piani nazionali integrati per la gestione delle acque reflue, inclusa quella meteorica, sempre più rilevante a fronte dell’intensificarsi degli eventi meteo estremi. Un dato preoccupante riguarda la struttura delle reti fognarie italiane: il 71% è di tipo misto, convogliando nella stessa condotta acque di scarico e piovane. Questo sistema, in caso di piogge intense, genera dispersioni di acque non trattate nell’ambiente e incrementa il carico sui depuratori, facendo lievitare consumi energetici e costi. Inoltre, parte delle acque piovane finisce direttamente nei fiumi senza alcun trattamento.
A questo si aggiunge una criticità energetica: molti degli impianti di depurazione italiani operano al di sotto della loro capacità ottimale e con consumi superiori agli standard europei. L’obiettivo fissato da Bruxelles è chiaro: rendere questi impianti autosufficienti dal punto di vista energetico, favorendo il ricorso a fonti rinnovabili. Il nuovo approccio europeo introduce anche un principio inedito per il settore: chi inquina paga. La Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), già applicata in altri ambiti, viene ora estesa ai comparti industriali responsabili della presenza di microinquinanti nei reflui. Questi dovranno contribuire ai costi dei trattamenti avanzati necessari per rimuoverli, internalizzando parte degli oneri ambientali finora esternalizzati alla collettività.
«La direttiva vuole trasformare gli impianti di depurazione in strumenti di economia circolare», ha dichiarato Laura D’Aprile, capo del Dipartimento Sviluppo Sostenibile del MASE, intervenuta a Accadueo 2025. «Il riuso delle acque e dei fanghi, il recupero dei nutrienti, la produzione di energia rinnovabile e la riduzione dell’impatto ambientale sono gli elementi chiave di questo nuovo paradigma». Il cambiamento richiederà un forte supporto tecnologico e finanziario, in un quadro regolatorio che sappia promuovere innovazione, efficienza e cooperazione tra enti locali, gestori del servizio idrico e industria. Come ha sottolineato Paolo Angelini, amministratore delegato di BolognaFiere Water&Energy, «la gestione dell’acqua è un fattore chiave per la tenuta del tessuto economico e sociale del Paese».
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