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La proposta di bilancio dell’Unione Europea per il periodo 2028–2034 rischia di nascere già priva di ambizione. Il rimborso del debito del Next Generation EU sta diventando un vincolo strutturale, che impedisce investimenti nuovi e congela la capacità d’azione europea. Il Parlamento accusa la Commissione di scelte miopi, mentre il rischio è quello di un’Europa marginale nel mondo
C’è un cortocircuito nella costruzione del prossimo bilancio europeo. Uno dei più grandi strumenti di solidarietà mai creati dall’Unione – il Next Generation EU – rischia ora di diventare problema. Non solo perché per alcuni Paesi come l'Italia rappresenta una bella fetta dell'economia nazionale, ma anche perché dover rimborsare i prestiti ad esso legati implica difficoltà di manovra in un momento delicato a livello geopolitico. La proposta della Commissione Europea per il Quadro Finanziario Pluriennale 2028–2034 è stata definita dal Parlamento "semplicemente insufficiente" per affrontare le sfide presenti e future, dagli stessi capigruppo del Parlamento euro. La critica non è solo tecnica, ma profondamente politica: gran parte dell’aumento nominale previsto nel bilancio sarà assorbito dal rimborso del debito contratto proprio con il NGEU. In termini reali, la capacità di spesa rimarrebbe congelata, se non addirittura in flessione su alcuni settori chiave.
Non si tratta di una contabilità da tecnocrati. Le decisioni prese oggi incideranno sulla capacità dell’Europa di rispondere alle crisi internazionali, alla transizione verde, alla competitività industriale e all’inclusione sociale. Il Parlamento Europeo ha denunciato che la bozza attuale limita il margine di azione comunitario, sacrificando interi ambiti di investimento per onorare gli interessi del debito post-pandemico. In altre parole, l’Unione rischia di fare meno, nonostante i cittadini e gli Stati membri chiedano di più. Come se l’eredità della risposta straordinaria al Covid, invece di aprire un nuovo corso di integrazione e rilancio, si stesse trasformando in un vincolo rigido, gestito secondo logiche contabili e non politiche.
A rendere la questione ancora più delicata è l’architettura proposta dalla Commissione, che prevede una gestione accentrata in “mega-fondi” e piani nazionali o regionali. Secondo molti europarlamentari, questo ridurrebbe il controllo democratico sul bilancio e allontanerebbe l’Europa dalle sue istituzioni rappresentative. Un paradosso, se si pensa che il NGEU nacque proprio come un esercizio di responsabilità condivisa e visione comune. Ora, invece, potrebbe diventare lo strumento attraverso cui si marginalizza il Parlamento, si svuotano i programmi comunitari esistenti e si riafferma una logica di rinazionalizzazione delle politiche.
Il nodo centrale è la mancanza di nuove risorse proprie. Senza un gettito autonomo – che vada oltre le timide proposte su dazi, digitale, plastica o e-commerce – l’Unione sarà costretta a scegliere tra il rientro dal debito comune e il finanziamento delle proprie politiche fondamentali. Una scelta che diventa impossibile in un mondo sempre più competitivo e instabile, dove gli altri attori globali investono massicciamente in difesa, intelligenza artificiale, industria e energia. Rimanere inchiodati a un tetto dell’1,26% del Reddito Nazionale Lordo, di cui almeno lo 0,11% destinato agli interessi del NGEU, significa nei fatti fare un passo indietro proprio quando servirebbe lo slancio. Il Parlamento ha già approvato la propria posizione negoziale e si prepara a uno scontro istituzionale con Consiglio e Commissione. Le parole chiave sono ambizione, democrazia, capacità di reazione. Ma dietro le formule retoriche si nasconde una verità più profonda: l’Europa è chiamata a scegliere se diventare finalmente un soggetto politico autonomo, capace di investire sul proprio futuro, oppure restare prigioniera di un passato che, per quanto virtuoso, non può diventare un alibi per la stagnazione. Se il debito comune doveva essere l’inizio di una nuova sovranità europea, trasformarlo in un freno strutturale significherebbe tradirne il senso originario. E con esso, tradire anche le aspettative dei cittadini.
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