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Dopo anni di indagini, udienze e battaglie giudiziarie, il 26 giugno 2025 la Corte d’Assise di Vicenza ha emesso una sentenza senza precedenti sul caso dell’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). Gli undici ex dirigenti della Miteni e delle società controllanti ICIG e Mitsubishi sono stati riconosciuti colpevoli di reati gravissimi: avvelenamento delle acque, disastro ambientale doloso, inquinamento e bancarotta fraudolenta.
Le pene comminate dal tribunale sono state severe, con condanne che vanno dai due anni e otto mesi fino ai diciassette anni e sei mesi di reclusione, per un totale di 141 anni di carcere. La decisione arriva dopo un lungo processo iniziato nel 2021, a seguito di una mobilitazione civile e istituzionale senza precedenti, scatenata dalla scoperta di livelli elevatissimi di PFAS nelle acque sotterranee e superficiali nelle province venete di Vicenza, Padova e Verona.
Al centro dell’indagine giudiziaria c’è lo stabilimento della Miteni di Trissino, da anni considerato il principale responsabile di una delle più vaste contaminazioni ambientali in Europa. Secondo l’accusa, confermata in tribunale, i vertici aziendali erano consapevoli della pericolosità dei PFAS, utilizzati nella produzione industriale di sostanze chimiche impermeabilizzanti e antiaderenti, ma avrebbero deliberatamente ignorato o sottovalutato i rischi per la salute pubblica e per l’ambiente.
Cosa sono i PFAS e perché vengono prodotti
I PFAS, acronimo di "perfluoroalchilici", sono composti chimici di origine industriale estremamente stabili e resistenti alla degradazione. Grazie alle loro proprietà idrorepellenti, oleorepellenti e termiche, questi composti sono impiegati in numerosi settori industriali, dalla produzione di materiali antiaderenti per pentole e utensili da cucina, fino alla realizzazione di tessuti impermeabili, schiume antincendio, cosmetici e imballaggi alimentari.
Tecnicamente, i PFAS sono costituiti da catene alchiliche legate ad atomi di fluoro, caratteristica che conferisce loro straordinaria resistenza chimica e stabilità termica. Questa elevata resistenza, tuttavia, implica anche una lunga persistenza ambientale. Una volta rilasciati nell’ambiente, infatti, i PFAS non si decompongono facilmente e tendono ad accumularsi nel suolo, nell'acqua e negli organismi viventi, generando un impatto a lungo termine su ecosistemi e salute umana.
La produzione industriale dei PFAS è iniziata intorno alla metà del Novecento, diventando rapidamente essenziale per l’industria manifatturiera moderna. L'industria chimica utilizza principalmente due metodi per sintetizzare questi composti: la fluorurazione elettrochimica e la telomerizzazione. Entrambi i processi richiedono l'uso di precursori chimici altamente reattivi, che, se non gestiti correttamente, possono generare significativi rischi ambientali e sanitari.
Negli ultimi decenni, l'utilizzo di queste sostanze ha generato crescenti preoccupazioni proprio a causa della loro capacità di bioaccumulo e tossicità. L’esposizione prolungata ai PFAS è stata associata, come confermato da numerosi studi scientifici, a una serie di gravi patologie, tra cui tumori, alterazioni del sistema endocrino e immunitario, infertilità e problemi di sviluppo infantile.
L’inquinamento prodotto dalla fabbrica di Trissino ha avuto conseguenze devastanti: oltre 300 mila abitanti del Veneto sono stati esposti a queste sostanze tossiche, con gravi rischi per la salute. Studi scientifici condotti negli ultimi anni hanno infatti associato l’esposizione ai PFAS a malattie del sistema endocrino, patologie cardiovascolari, tumori, infertilità e problemi di sviluppo nei bambini.
Tra i casi più eclatanti e simbolici portati in aula c’è quello di Pasqualino Zenere, un operaio della Miteni morto nel 2014 a causa di un tumore. La sentenza di Vicenza rappresenta una svolta giuridica epocale anche in questo senso: per la prima volta è stato riconosciuto il nesso causale diretto tra l’esposizione professionale ai PFAS e la morte per malattia. Questa decisione potrebbe aprire nuove prospettive per i tanti cittadini colpiti dagli effetti a lungo termine di questo inquinamento silenzioso e subdolo.
Interventi di bonifica e risanamento ambientale
La sentenza ha previsto risarcimenti significativi a favore delle parti civili costituite, tra cui il Ministero dell’Ambiente, che riceverà circa 57 milioni di euro. Ulteriori risarcimenti saranno erogati a comuni, enti territoriali, associazioni ambientaliste e a gruppi di cittadini costituitisi in comitati per difendere il diritto all’acqua pulita e alla salute. Questi fondi dovrebbero essere destinati principalmente alla bonifica delle aree contaminate e al potenziamento dei sistemi di controllo e monitoraggio ambientale.
Ora, dopo la sentenza, una delle principali sfide sarà l’avvio di interventi di bonifica rapidi ed efficaci. Tra le tecnologie più promettenti utilizzate altrove per la bonifica dei PFAS vi sono trattamenti di filtrazione avanzata, come la filtrazione a carboni attivi e la membrana a osmosi inversa, capaci di rimuovere efficacemente i composti tossici dalle acque. Anche i trattamenti termici, come l'incenerimento ad alte temperature, stanno dimostrando efficacia nel decomporre completamente queste molecole altamente persistenti, evitando il rischio di rilascio secondario nell’ambiente.
Esperienze internazionali e normative europee sui PFAS
A livello europeo e internazionale, il caso PFAS ha suscitato crescente attenzione e dibattito. Paesi come la Svezia e la Germania stanno già implementando normative rigorose per limitare l'uso e la diffusione di queste sostanze, mentre l'Unione Europea ha avviato un percorso verso una regolamentazione più severa e armonizzata. Recentemente, la Commissione Europea ha proposto restrizioni stringenti sull'uso industriale di PFAS, imponendo controlli severi sulla produzione, l’utilizzo e lo smaltimento di tali sostanze chimiche, con l'obiettivo di prevenire ulteriori contaminazioni ambientali.

Quadro normativo italiano ed europeo sui PFAS
Negli ultimi anni, la regolamentazione sui PFAS ha subito una notevole evoluzione sia a livello europeo che italiano, spinta dalla crescente evidenza scientifica dei rischi sanitari e ambientali connessi a queste sostanze. In Europa, un passaggio fondamentale è stato rappresentato dalla Direttiva UE 2020/2184 sull’acqua potabile, che ha fissato limiti per i PFAS totali a 0,50 microgrammi per litro e per la somma di 20 PFAS prioritari a 0,10 microgrammi per litro. A questa si affiancano normative specifiche come il Regolamento sui rifiuti POP, che vieta l’uso di PFOA e derivati entro il luglio 2025, e il Regolamento UE 2024/2462, che impone restrizioni severe su PFHxA in numerosi prodotti industriali e di consumo. In parallelo, la Commissione Europea ha avviato un processo, in sede REACH, volto a introdurre un divieto generale sull’uso non essenziale di PFAS in tutta l’Unione. Anche nel settore alimentare, il Regolamento UE 2023/915 ha definito limiti di presenza per alcuni PFAS in pesce, carne, uova e altri alimenti di origine animale. Il quadro è completato da linee guida tecniche che promuovono metodologie uniformi per il monitoraggio delle acque potabili.
In Italia, il principale riferimento normativo è il Decreto Legislativo 152/2006, noto come Testo Unico Ambientale, che disciplina la qualità delle acque superficiali e sotterranee. A questo si aggiunge il Decreto Legislativo 18/2023, che recepisce la Direttiva UE sull’acqua potabile e conferma i limiti sopra indicati, da rispettarsi entro il 2026. Il Decreto Legislativo 172/2015 aveva già introdotto valori soglia per singole sostanze perfluoroalchiliche, mentre alcune regioni, come il Piemonte, hanno adottato normative proprie che fissano limiti precisi agli scarichi industriali e distinguono tra PFAS a catena corta e lunga.
Fonti
certifico.com, fr.wikipedia.org, pqa.it, studiocataldi.it, madehse.com.

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