Olivicoltura italiana in crisi: produzione in calo del 40%, ma la sostenibilità può invertire la rotta
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Olivicoltura italiana in crisi: produzione in calo del 40%, ma la sostenibilità può invertire la rotta

Condizioni climatiche avverse, frammentazione produttiva, aumento dei costi e carenza di manodopera stanno mettendo in ginocchio il settore. Tuttavia, ricerca, innovazione e sostenibilità offrono un'opportunità di rilancio

A fronte di un’Italia che resta il primo consumatore mondiale di olio d’oliva, il settore olivicolo nazionale si trova oggi in una fase critica. Secondo quanto emerso nel corso dell’incontro promosso da Costa d’Oro a Tuttofood 2025, la produzione media nazionale ha subito un calo del 40% nel biennio 2024-2025 rispetto al quadriennio 2006-2009, pari a circa 244mila tonnellate in meno. Un dato allarmante che, come sottolinea Walter Placida, Presidente della Federazione Nazionale Olivicola di Confagricoltura, è frutto di anni di difficoltà ambientale e di scarso investimento in ricerca. «L’olio è ancora un prodotto strategico per il made in Italy – ha dichiarato – ma senza un piano olivicolo nazionale che coinvolga anche la grande distribuzione e che riconosca un valore equo ai produttori, rischiamo di perdere centralità nello scenario agricolo nazionale».

La situazione è aggravata da un paradosso economico: si continua a valorizzare solo il 10-15% dell’oliva, cioè l’olio, mentre il resto viene sprecato. È quanto evidenziato da Pascal Pinson, CEO di Costa d’Oro, che rilancia la necessità di adottare un approccio più circolare. In questa direzione si muove la ricerca guidata dal Prof. Maurizio Servili dell’Università di Perugia, che punta a trasformare i sottoprodotti dell’estrazione dell’olio – come le sanse e le acque di vegetazione – in risorse utili per la zootecnia, l’alimentazione e la nutraceutica. La crisi della redditività colpisce in modo particolare le aziende agricole familiari e i territori con vocazione olivicola storica. In Italia, molte superfici olivetate sono oggi abbandonate. «I veri imprenditori agricoli sono pochi – afferma il Prof. Luca Sebastiani della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – e devono competere con un mercato internazionale molto dinamico, in cui i competitor sono spesso più organizzati e capaci di fare rete». Il rilancio del settore passa anche da un cambio di paradigma culturale. «Il tecnico agronomo deve diventare per l’olio ciò che l’enologo è per il vino», sostiene Daniele Converso di Assoprol, ribadendo l’importanza dell’assistenza tecnica in campo per costruire un prodotto di qualità, riconosciuto e remunerato.

Tra le proposte in campo per invertire la rotta ci sono l’oleoturismo, la valorizzazione delle indicazioni geografiche, la diffusione delle buone pratiche agronomiche e un maggiore coinvolgimento degli attori della filiera, dalla GDO ai consumatori. Iniziative come la Planet O-live Academy di Costa d’Oro, che ha già raggiunto 430mila olivi con attività di formazione alla sostenibilità, dimostrano che un’altra olivicoltura è possibile. Il futuro dell’olio italiano non è scritto, ma la sua sopravvivenza dipende dalla capacità di innovare, cooperare e riconoscere il valore reale di un prodotto che è simbolo della nostra cultura alimentare.

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